L’evento “Voci contro l’odio: insieme per una comunicazione responsabile” è stato un’occasione per fare il punto, con lucidità e preoccupazione, su quanto le parole d’odio possano costruire o distruggere il tessuto civile, fino a sfociare in radicalizzazioni e conflitti. “Assistiamo a una crescente radicalizzazione, che avvelena la società. Preoccupa il ritorno dell’antisemitismo”, ha detto il vicepresidente della Commissione Difesa alla Camera Piero Fassino
“Le parole possono essere uova di serpente. Evocano idee, crescono indisturbate e, se trascurate, si schiudono in atti di violenza”. Le immagini diventano plastiche, come a restituire la portata del fenomeno e la gravità del momento.
È con questa immagine potente e al contempo inquietante che Gennaro Migliore, direttore del Consiglio consultivo di ICCEHS, ha aperto l’evento “Voci contro l’odio: insieme per una comunicazione responsabile”, promosso dal senatore di Italia Viva Ivan Scalfarotto ieri a Palazzo Madama, in occasione della Giornata internazionale contro i discorsi d’odio proclamata dalle Nazioni Unite. Un’occasione per fare il punto, con lucidità e preoccupazione, su quanto le parole – d’odio – possano costruire o distruggere il tessuto civile, fino a sfociare in radicalizzazioni e conflitti.
Non un dibattito astratto, ma un confronto urgente. A trentuno anni dal genocidio del Ruanda – ricordato più volte, proprio da Migliore, come esempio paradigmatico di quanto la propaganda possa precedere e giustificare lo sterminio – è il presente a preoccupare: social media, disinformazione, radicalizzazione giovanile e delegittimazione della parola “compromesso” stanno facendo dell’odio un linguaggio quotidiano.
“Ho vissuto sulla mia pelle quanto sia difficile contrastare i discorsi d’odio nel dibattito pubblico – così il senatore renziano, da anni in prima linea per estendere le garanzie previste dalla Legge Mancino -. Per decenni abbiamo cercato di rafforzarla, ma non sempre è stata considerata una risorsa. Oggi, i social sono veicoli potentissimi per l’odio: è scomparso il tempo dell’attesa e del pensiero, è venuto meno anche il pudore”. Il senatore ha denunciato, come rappresentazione emblematica dell’odio diffuso, gli attacchi dalla comunità ebraica romana durante l’ultimo Pride: “In un luogo nato per essere inclusivo, sentire accuse gravissime, come quella di ‘assassini’, è un segnale inquietante. Le folle possono diventare pericolose”.
Sulla stessa linea è anche Nidal Shoukeir, direttore del consiglio esecutivo di ICCEHS, che allarga lo spettro entrando nel vivo dell’attualità. “Il linguaggio d’odio è il carburante dei conflitti. Il nostro pianeta è percorso da guerre e tensioni crescenti: in Medio Oriente, in Ucraina, in Africa. E le parole non restano parole, diventano fiamme”. Da qui, un appello accorato alla responsabilità, rivolto a leader, influencer e cittadini: “La pace non è un’utopia, ma richiede azioni quotidiane. Serve un’etica della parola, un fronte comune per una cultura della comunicazione responsabile”.
A proposito di segnali allarmanti, è Massimo Khairallah, direttore delle relazioni internazionali di Med-Or Foundation, a mettere a fuoco la vulnerabilità giovanile in particolare in alcune aree del Mondo. Sono i numeri a parlare. “Il 60% di chi si affilia a organizzazioni terroristiche – scandisce Khairallah – è orfano. Nei campi in Siria o a Gaza rischiamo di perdere una generazione cresciuta nel risentimento. Se non interveniamo oggi, in particolare nelle scuole, rischiamo di trovarci tra dieci anni davanti a una nuova ondata di odio”. Khairallah ha indicato come modello l’esperienza degli Emirati Arabi Uniti, che attraverso una narrazione culturale hanno evitato la diffusione dell’antisemitismo: “Là – chiude – la leadership emiratina ha scelto di educare al rispetto. Serve una contro-narrazione globale, condivisa, strutturata”.
Di taglio decisamente più politico, da profondo conoscitore di queste dinamiche, è l’intervento di Fassino che analizza nel profondo la relazione tra parola, conflitti e media (vecchi e nuovi). “Assistiamo a una crescente radicalizzazione, che avvelena la società – è il giudizio netto del vicepresidente della Commissione Difesa – . Il discorso pubblico ha delegittimato perfino la parola ‘compromesso’, confondendola con il tradimento dei valori. Ma governare significa trovare punti di incontro, non alimentare lo scontro. È una sfida che si vince anche educando i giovani e rafforzando il sistema informativo”.
Fondamentale anche il riferimento al “ritorno dell’antisemitismo” in relazione alla polarizzazione del dibattito creato attorno al conflitto fra Israele e Iran e più in generale sulla situazione mediorientale.
A emergere dall’evento è stato un messaggio chiaro che, come ha precisato lo stesso Fassino in chiusura di intervento, delinea i contorni di una responsabilità collettiva. “Il contrasto all’odio non può essere appannaggio di una parte politica o di una comunità. È una responsabilità trasversale, che richiede collaborazione tra istituzioni, società civile, mondo dell’informazione e cittadini – dice in chiosa -. Non esiste neutralità di fronte all’odio: ignorarlo significa alimentarlo”.
D’altra parte, come ha ricordato Gennaro Migliore, “tutto nasce dalle parole. E se continuiamo a sottovalutarle, continueremo a ritrovarci a contare le vittime”. Le vittime delle radici dell’odio.