Palazzo Chigi, di raccordo con il Tesoro, è pronto a stanziare fondi sufficienti a concedere uno sconto alle aziende del biomedicale, che debbono un miliardo alle amministrazioni. Possibile anche un innalzamento dei tetti per la spesa. Ma per le imprese è tempo di superare la norma
Sul payback, il meccanismo che impone alle imprese che riforniscono la Pubblica amministrazione di dispositivi medici di concorrere al ripianamento dei disavanzi, il governo è pronto a intervenire ancora una volta, per salvare le imprese dall’ennesimo baratro.
La posta in gioco è alta: dopo la recente sentenza del Tar del Lazio che, di fatto, ha confermato oltre un miliardo a carico delle imprese per il superamento del tetto di spesa nel periodo 2015-2018, al ministero dell’Economia si è aperto un tavolo con l’obiettivo di superare gradualmente una norma ritenuta ormai insostenibile, avviando immediatamente politiche di salvaguardia per le imprese, con particolare attenzione a quelle piccole e medie, le più colpite dalle compensazioni richieste.
L’idea, che potrebbe finire direttamente sul tavolo del Consiglio dei ministri convocato per domani, è di concedere uno sconto alle imprese. Il bottino parla di circa 650 milioni con i quali attutire l’impatto della spesa: 350 milioni messi dall’esecutivo mentre, da parte loro, le regioni dovrebbero rinunciare a circa 120 milioni. Alle imprese, così facendo, rimarrebbe in carico un esborso decisamente sgonfiato. Inoltre, collateralmente a questo intervento di mini-chirurgia, come ha raccontato Repubblica, Palazzo Chigi, di raccordo con il Mef e gli stessi enti locali, punta a innalzare il tetto di spesa previsti per legge per i dispositivi, così da provare a sterilizzare del tutto la norma.
Ora, pallottoliere a parte (c’è da fare bene i conteggi con la Corte dei conti), in caso di mancato intervento, molte aziende, quelle con le spalle meno larghe e con meno cassa, non reggerebbero il colpo, andando incontro a migliaia di licenziamenti: quasi 190 mila secondo i calcoli di alcuni associazioni. Di sicuro, l’industria biomedicale vuole il superamento del payback, in modo strutturale, andando oltre interventi utili e provvidenziali, ma pur sempre provvisori. E lo vuole anche la farmaceutica.
“Il payback“, aveva chiarito poche settimane fa Ugo Di Francesco, ceo di Kedrion Biopharma, “è una manovra iniqua che deve essere eliminata velocemente. Consideriamo che l’Europa è autosufficiente solo per il 60% del plasma, mentre il 40% deve essere importato dagli Stati Uniti. In Italia più o meno 1 paziente su 3 deve contare sulla disponibilità di plasmaderivati che derivano da plasma importato. Va poi ridotta la burocrazia. Il settore della farmaceutica ha bisogno di stabilità e tempi certi. L’incertezza che ogni tanto si genera a livello di istituzioni, Aifa compresa, non aiuta la programmazione di un’azienda”.
Come detto, lo scorso 7 maggio 2025, il Tar del Lazio ha respinto i ricorsi presentati dalle aziende produttrici di dispositivi medici contro il meccanismo del payback, confermando l’obbligo per oltre 1.800 imprese di contribuire al ripiano degli sforamenti dei tetti di spesa sanitaria regionali per il periodo 2015-2018. La sentenza ha suscitato forti reazioni da parte delle associazioni di categoria, che hanno annunciato l’intenzione di ricorrere al Consiglio di Stato e sollecitato un intervento urgente del governo per evitare gravi ripercussioni sul settore e sulla fornitura di dispositivi essenziali al Servizio sanitario nazionale.
Eppure questa strategia – sconfitta ora dal Tar – difficilmente avrebbe potuto avere un esito diverso. Non solo sul piano strettamente giuridico, ma anche su quello del buon senso. Il meccanismo del payback applicato ai dispositivi medici resta una stortura – lo abbiamo scritto più volte – tanto diabolica nella sua costruzione quanto cieca nel suo impatto. È un’anomalia sistemica che genera disordine nei bilanci delle aziende e incertezza nella programmazione pubblica. Ma, per la prima volta, il governo aveva aperto uno spiraglio. Aveva dato segnali chiari di voler correggere il tiro, riconoscendo che qualcosa non funzionava.
È stato del resto proprio l’esecutivo di Giorgia Meloni a rinviare lungamente i pagamenti, individuando di volta in volta le coperture necessarie, nel tentativo poi di individuare una soluzione di lungo termine. “Ho sempre detto che questa norma era assurda”, aveva dichiarato lo scorso anno a Formiche.net Ylenja Lucaselli, impegnata in prima persona per il superamento del payback dispositivi medici. “Finalmente si può iniziare a ragionare su una revisione che non sospenda il meccanismo, ma che lo elimini del tutto”, aveva aggiunto.
Proprio per questo lascia perplessi la scelta di non valorizzare pienamente quell’apertura, preferendo una linea più difensiva e di contrapposizione. In un momento in cui si intravedeva la possibilità di costruire un percorso condiviso con il Mef, e probabilmente anche con la Ragioneria dello Stato – orientato a soluzioni compatibili con la tenuta dei conti pubblici – sarebbe forse stato più utile rafforzare le convergenze piuttosto che alimentare il contenzioso. Un’occasione che, sul piano tattico e politico, rischia di essere stata mancata.