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Biotech, Europa in ritardo su Cina e Usa. Serve un cambio di passo

Annunciato da Ursula von der Leyen come pilastro della competitività europea, il Biotech act è ancora un progetto senza contorni chiari. A Boston, il commissario Várhelyi ne ha delineato i primi elementi: AI, dati, sperimentazioni agili e un nuovo ruolo per l’Europa nel mondo. Ma sul piano globale la partita è già nel vivo

Annunciato nelle linee guida politiche di Ursula von der Leyen per il 2025, il nuovo Biotech act europeo avrebbe dovuto segnare una svolta nella strategia industriale dell’Unione. Ma l’iniziativa non è comparsa nel programma di lavoro della Commissione di febbraio e la sua presentazione è ora slittata all’inizio del 2026. Eppure una strategia europea sul settore è sempre più urgente. Il biotech rappresenta infatti uno dei comparti maggiormente strategici a livello globale, oltre che in costante crescita: valutato a 1.550 miliardi di dollari nel 2023, potrebbe superare i 3.800 miliardi entro il 2030, con impatti trasversali su agricoltura, energia, difesa e salute.

BIOTECH ACT: UN QUADRO IN EVOLUZIONE

Durante un colloquio alla Bio international convention 2025 tenutasi questa settimana a Boston, il commissario europeo alla Salute e al benessere animale Olivér Várhelyi, che guida il dossier per conto della Commissione, ha offerto alcune anticipazioni sul futuro European Biotech Act, delineando un impianto normativo pensato per accompagnare l’innovazione biotech europea nei prossimi 10-20 anni. “È molto difficile definirlo ora, perché si tratta di un settore in costante evoluzione”, ha premesso Várhelyi. “Ma ciò che conta è creare un quadro legislativo che apra possibilità concrete allo sviluppo di nuove terapie e prodotti”.

TERAPIE GENICHE, DATI E IA

Al centro dell’approccio, terapie geniche, dati e intelligenza artificiale. L’obiettivo è abbattere i compartimenti stagni tra farmaci, dispositivi medici e AI, per consentire la creazione di soluzioni ibride e integrate. “Dobbiamo combinare tutte queste tecnologie verso prodotti e terapie unici. E vogliamo farlo in modo aperto, così che il framework sia a prova di futuro”. Un’attenzione particolare sarà riservata anche alla sperimentazione clinica, che – secondo il commissario – dovrà essere ripensata per rispondere alle esigenze specifiche del biotech. “Potremmo usare l’intelligenza artificiale per alcuni segmenti delle sperimentazioni cliniche, ad esempio per le componenti chimiche. Questo abbasserebbe significativamente i costi, la complessità e i tempi di sviluppo”. Várhelyi ha infine sottolineato di essere presente alla convention soprattutto per ascoltare. “Voglio capire dai protagonisti dell’industria quali sono i veri colli di bottiglia nell’introduzione di nuove terapie, sempre senza compromettere sicurezza ed efficacia”.

IL PARLAMENTO MUOVE I PRIMI PASSI

Nonostante la partenza rallentata, il Parlamento europeo – ora impegnato nei triloghi relativi al pacchetto farmaceutico – si prepara a dire la sua. Nella commissione Itre (Industria, ricerca ed energia) è attesa l’approvazione di una relazione di iniziativa nelle prossime settimane che potrebbe aiutare in vista della definizione di una posizione comune con la Sant (Sanità pubblica) mentre si attende una timeline più chiara relativa all’atto. Il potenziale è quello di spingere la commissione europea verso una proposta che valorizzi pienamente il ruolo della biotecnologia per l’autonomia strategica dell’Ue.

IL CONFRONTO IN ITALIA

Anche in Italia il confronto sul futuro del biotech sta guadagnando spazio, con l’attenzione rivolta al posizionamento del Paese nella strategia europea. A promuovere il dibattito sul tema, Assobiotec, che in occasione della propria assemblea annuale, il prossimo mercoledì 25 giugno terrà un incontro incentrato sul Biotech act e il ruolo delle biotecnologie nel complesso contesto industriale e geopolitico attuale.

UN OCCHIO PUNTATO AD EST

“Mi sto convincendo sempre di più che non solo esiste una corsa globale sui trial clinici, ma che in questa corsa l’Europa sta sottoperformando”, ha affermato infatti il Commissario europeo. Per invertire la rotta, secondo il commissario, è necessario “cambiare il sistema”, accelerando i processi dell’Ema e rendendo le procedure più collaborative tra Stati membri. In questo, si augura il commissario, l’IA potrà giocare la sua parte per semplificare le procedure. Ma il tema, ha chiarito, non è solo regolatorio: “Dove si fanno i trial, con buona probabilità si produce. Abbiamo non solo bisogno che la manifattura resti in Europa ma che si espanda. E se la manifattura si sposta a Est, riportarla indietro diventa quasi impossibile”. Per questo, ha concluso, “è il momento di darci una mossa e anticipare la curva”.

LA PARTITA DELLA PRODUZIONE SCIENTIFICA

Nei corridoi del dibattito emerge infatti il concorrente da non sottovalutare. La Cina. Secondo un recente report del Mercator institute for China studies (Merics), firmato da Alexander Brown e Jeroen Groenewegen-Lau, Pechino ha superato sia l’Unione Europea sia gli Stati Uniti in termini di produzione scientifica e capacità di innovazione nel biotech, grazie a un’agenda strategica e pragmatica. Nel 2023, la Cina ha generato il 61 % delle pubblicazioni più citate in biologia sintetica, il 42 % nel sequenziamento genomico e circa il 30 % in settori come antibiotici, antivirali e bio-manifattura. Il sostegno governativo è stato massiccio. Oltre 2,6 miliardi di euro investiti nello stesso anno, con più di 100 dei 540 laboratori statali dedicati alle scienze biologiche.

UNA CORSA SBILANCIATA

La corsa resta sbilanciata. Come osservato da Zeena Nisar, policy advisor della National security commission on emerging biotechnology statunitense, “la biotecnologia emergente negli Stati Uniti manca di clienti nelle fasi iniziali”, ma in Cina lo Stato ha già consolidato un modello in cui “sovvenziona e inonda il mercato con i propri prodotti”. Nonostante i punti di forza sul fronte della ricerca, l’industria cinese ha fatto progressi ancora modesti. Nel 2024, la Cina rappresentava solo il 4,8 % del mercato biotech globale, contro il 35 % degli Stati Uniti e il 31 % dell’Europa. Un divario che riflette un ecosistema in cui le capacità di innovazione superano la domanda interna nei settori chiave.


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