Calcoli politici, miti antichi e rischi reali: tra negazione delle crisi e strategie di consenso, l’Italia resta esposta alle minacce internazionali mentre la politica si divide sul ruolo del Paese nei conflitti globali. Il commento di Francesco Sisci
La manifestazione contro le armi, in un periodo di guerre, è come rinunciare al pane durante una carestia, all’acqua durante la siccità. È l’eccezionalità della situazione, il dramma estremo che fa impazzire qualcuno, e spinge la maggioranza a escludere e marginalizzare i pazzi che vogliono affrontare la guerra, la carestia la siccità senza armi, pane o acqua.
In teoria la politica raccoglie i voti di coloro che vogliono negare la realtà (non c’è guerra, carestia o siccità). In realtà porta voti alla maggioranza che riconosce la realtà – che la guerra c’è, non è inventata.
Oppure c’è altro.
All’origine della civiltà occidentale e dei suoi due poemi fondanti, l’Iliade e l’Odissea c’è la storia della inascoltata Cassandra che avverte: il cavallo che pare il dono dei greci in fuga porta invece nel ventre quelli che distruggeranno Troia.
Dopo dieci anni di guerra i troiani volevano buone notizie non di nuovo annunci nefasti. In generale nessuno vuole sentirsi dire: non fare questo o quello. Quindi ci vuole forza e capacità a dire la verità, molto più facile raccontare: fatevi di eroina tagliata con il cemento e campate cent’ann.
Nella eterna furbizia italiana, nella ricerca della scorciatoia, del compito copiato invece dello studio indefesso, c’è forse un calcolo sinistro: oggi raccogliamo i voti di chi teme la guerra e poi armiamoci comunque, una volta al potere.
Può funzionare, come è successo tante volte al paese o sui banchi di scuola. E in tempi normali il calcolo è probabilmente giusto, esatto. In tempi di guerra potrebbe tuttavia essere diverso. Una volta che i ferali achei sono entro le mura, non ci sarà più salvezza e la città brucerà.
O forse è ancora altro. È che i leader del Partito democratico, Elly Schlein, e del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, sembra che vogliano il governo di Giorgia Meloni più di quanto non lo voglia l’alleato di maggioranza leader di Forza Italia, Antonio Tajani. Oppure Schlein e Conte davvero sono fuori dal mondo.
Chi lo sa.
In questo labirinto di ipotesi impossibili da verificare, che si inseguono come un cane va dietro alla sua coda resta una realtà: che il Paese per gli alleati diventa sempre più un peso, un rischio. Per gli avversari, i nemici invece è un’opportunità per sfondare le linee e vincere dove sui campi dell’Ucraina o dell’Iran non si riesce.
Auguri a noi tutti italiani.