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Senza rispetto per dignità e diritto la pace resta un’illusione. La versione di Bonanni

La pace non è uno slogan da convegno. È un’architettura fragile, un processo rigoroso, fatto di diritti umani e norme condivise. Richiede coerenza, rispetto delle regole, sacrificio. Non proclami. Non propaganda. Ogni nazione ha una responsabilità che va oltre i propri confini: difendere la dignità dell’intera umanità. Il commento di Raffaele Bonanni

Durante l’ultima udienza generale, Papa Leone XIV ha rivolto un appello vibrante alla comunità internazionale: fermare i conflitti armati, sempre più brutali per l’impiego di tecnologie belliche sofisticate. Il Pontefice ha citato con forza la guerra in Ucraina e le tensioni in Medio Oriente, ricordando che ogni autentico percorso di pace si fonda su due pilastri imprescindibili: la dignità dell’essere umano e il rispetto del diritto internazionale. Un’esortazione che va ben oltre l’applauso: richiede un esame di coscienza collettivo. Perché pace, diritti e dignità non sono concetti isolati, ma elementi di un unico mosaico. Romperne uno equivale a compromettere l’intera costruzione.

Il presente ce lo mostra con una crudezza disarmante. L’Ucraina è sotto assedio da oltre quattro anni. Le città vengono rase al suolo, ospedali e scuole bombardati, oltre 20 mila bambini sono stati deportati. Gli accordi internazionali? Ignorati. E ciò che è più grave: nonostante le norme che impongono assistenza alle vittime, alcuni membri delle Nazioni Unite (Corea del Nord, Iran, Bielorussia, Cina) continuano a fornire supporto all’aggressore. Uomini, armi, risorse. Lo scenario mediorientale è diverso, ma altrettanto allarmante. L’Iran alimenta il fuoco in più aree di crisi (Yemen, Libano, Gaza) in una strategia di logoramento verso Israele. Quest’ultimo risponde con operazioni militari sempre più estese. Tra milizie e bombardamenti, i civili restano ostaggi, mentre il diritto internazionale viene calpestato.

A peggiorare il quadro, si fa largo, e inquieta, una nuova narrazione politica che ripropone la forza come strumento di influenza globale. Si torna a parlare di annessioni, territori da “riconquistare”, sogni imperiali riemergenti. Un linguaggio e una postura che non riguardano solo Putin, ma anche leader occidentali come Trump, che agisce talvolta dimenticando il peso e la responsabilità della democrazia americana. Riemerge da certi pulpiti internazionali il principio brutale del “più forte”, come se si volesse riscrivere l’ordine globale cancellando la speranza di convivenza giusta e pacifica tra gli Stati.
A questo punto, la domanda è inevitabile: quale giustizia può fondarsi sulla paura? Quale ordine nasce dall’arbitrio?

La pace non è uno slogan da convegno. È un’architettura fragile, un processo rigoroso, fatto di diritti umani e norme condivise. Richiede coerenza, rispetto delle regole, sacrificio. Non proclami. Non propaganda. Ogni nazione ha una responsabilità che va oltre i propri confini: difendere la dignità dell’intera umanità. Perché una verità, per quanto scomoda, è inevitabile: senza rispetto per la persona e per il diritto, la pace resta un’illusione. E chi si gira dall’altra parte, anche in silenzio, partecipa al disastro. Le manifestazioni pubbliche, se non sorrette da vigilanza costante e coerenza etica, si svuotano. Peggio ancora quando l’indignazione segue logiche di interesse politico, o si misura in base alle convenienze diplomatiche. In questi casi, si scava il solco, si esacerbano gli animi, si alimentano le derive violente.

Ci sono forze che lavorano contro un’Europa più autonoma e più sicura. C’è chi minimizza certe violenze e ne esaspera altre. Chi nega lo Stato di diritto ma accusa chi lo difende. Questi attori non portano né pace, né verità. E certo non rendono onore né alla patria italiana, né all’ideale europeo.


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