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Armata e autonoma? La “rivoluzione europea di Trump” secondo l’Ecfr

Il ritorno di Donald Trump sta modificando radicalmente la percezione europea della sicurezza e dell’identità politica. Secondo un nuovo sondaggio Ecfr, cresce il sostegno a una maggiore spesa militare, all’autonomia strategica e a un deterrente nucleare europeo, mentre cala la fiducia nel sistema politico statunitense

L’ombra lunga del secondo mandato di Donald Trump sta modificando in profondità la percezione europea della sicurezza, della difesa e della stessa identità politica del continente. È quanto emerge dal nuovo sondaggio multinazionale realizzato dallo European Council on Foreign Relations (Ecfr), intitolato “Trump’s European Revolution”, condotto in dodici Paesi europei e pubblicato in occasione del vertice Nato 2025 dell’Aia.

Lo studio, curato da Ivan Krastev e Mark Leonard, mette in luce uno scenario di trasformazione profonda, nel quale l’Europa sembra passare da “progetto di pace” a soggetto in fase di rimodulazione per una realtà dominata da minacce e conflitti. In molti Stati storicamente atlantisti come Germania, Danimarca e Regno Unito cresce la convinzione che l’Unione Europea debba rafforzare la propria autonomia in materia di difesa, anche a prescindere dalle garanzie statunitensi.

Il dato più emblematico riguarda il sostegno all’aumento della spesa militare, che si attesta in media al 50% degli intervistati nei dodici Paesi coinvolti. In particolare, Danimarca e Polonia guidano la classifica con un consenso del 70%, seguite da Regno Unito (57%), Estonia (56%) e Portogallo (54%). Solo in Italia si rileva una tendenza opposta: qui il 57% è contrario ad aumentare le spese per la difesa, e solo il 17% si dichiara favorevole. Parallelamente, si registra un consenso crescente per la reintroduzione del servizio militare obbligatorio, con picchi in Francia (62%), Germania (53%) e Polonia (51%). La misura raccoglie maggiori consensi tra gli over 60, mentre è osteggiata soprattutto dai giovani tra i 18 e i 29 anni (57% contrari in media).

Nonostante la possibilità che Washington ritiri il proprio sostegno a Kyiv, la maggioranza degli europei è favorevole a mantenere l’appoggio all’Ucraina: in Danimarca (78%), Portogallo (74%) e Regno Unito (73%) la posizione è nettamente a favore della continuità nel supporto militare. Allo stesso tempo, il 54% degli europei sostiene l’idea di sviluppare un deterrente nucleare europeo indipendente dagli Stati Uniti. Tuttavia, ciò non implica una fiducia cieca nell’autonomia dell’Ue. In paesi come Italia (54%) e Ungheria (51%) prevale lo scetticismo riguardo alla possibilità di costruire una difesa europea indipendente entro i prossimi cinque anni. Solo Danimarca e Portogallo appaiono moderatamente ottimisti.

L’approccio aggressivo di Trump nei confronti dell’Europa ha generato una crescente diffidenza verso il sistema politico americano. L’86% dei danesi lo considera “a pezzi”, mentre in Germania e Regno Unito le percentuali raggiungono rispettivamente il 67% e il 74%. Anche in paesi tradizionalmente filoamericani come la Polonia, le opinioni negative sull’America di Trump sono in crescita (dal 25% al 36% in quattro anni).

Ciononostante, una parte consistente degli europei continua a confidare nelle garanzie offerte dalla Nato: il 48% si dice fiducioso nella deterrenza nucleare statunitense e il 55% nella permanenza delle truppe Usa sul continente. Il 45% crede inoltre che l’Alleanza Atlantica verrà “ricucita” dopo la fine del mandato di Trump.

Ma il sondaggio Ecfr non fotografa solo un cambiamento geopolitico. Più profonda ancora è la trasformazione identitaria dei partiti politici europei: i movimenti di estrema destra, come AfD in Germania, Fratelli d’Italia in Italia, Vox in Spagna, PiS in Polonia o Chega in Portogallo, si sono allineati al progetto ideologico trumpiano, assumendo una postura internazionalista e anti-Ue. Al contrario, molti partiti tradizionali si sono reinventati come difensori della sovranità europea contro l’instabilità percepita proveniente dagli Stati Uniti.

Il risultato è un’inversione nei poli d’identificazione: essere filoamericani, oggi, significa spesso essere euroscettici; essere filoeuropei, invece, implica una posizione critica verso l’America trumpiana.

Secondo Leonard “la rivoluzione di Trump è arrivata in Europa, ribaltandone l’identità politica e geopolitica. Sta spingendo l’opinione pubblica verso un aumento della spesa per la difesa, la reintroduzione della leva, e una maggiore autonomia nucleare. I partiti populisti si allineano a Trump, mentre quelli tradizionali si ridefiniscono come custodi dell’ordine”. Krastev aggiunge che “gli Stati Uniti sono ormai un modello politico per l’estrema destra europea. Il filoamericanismo diventa sinonimo di euro-scetticismo, mentre la difesa dell’Ue diventa un atto di resistenza contro il caos trumpiano”.


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