L’Italia politica forse ha tre psicologie. La prima è quella del suo inizio. Il regno d’Italia proclamato nel 1861, c’è poi quella dopo la Seconda Guerra Mondiale e poi la terza, che parte dagli anni ’90 fino ai giorni nostri. Cosa ci dicono dell’oggi? Lo spiega Francesco Sisci
Le istituzioni, i Paesi come le singole persone, hanno un inconscio. Paesi diversi hanno caratteri (inconsci) diversi, ne ho esperienza personale. La Cina è complicata non tanto per la lingua ma per le regole profonde, non scritte, fatte di una miscela di comunismo e filosofia classica. Prima di arrivare a Pechino per casi del destino avevo esperienza di entrambi. La cosa mi ha fatto vedere l’inconscio cinese, al di là della superficie della comunicazione. Se era vero per la Cina era vero poi per ogni nazione. E si si vuole parlare realmente a qualcuno bisogna capirne le regole.
Dopo aver compreso le “regole” cinesi gli altri inconsci nazionali appaiono, forse illusoriamente, più facili. È un po’ come le lingue, dopo il cinese leggere il francese o lo spagnolo è più semplice. Ma per la lingua madre, per il proprio inconscio collettivo è molto diverso. È come guardarsi dentro senza nemmeno uno specchio. C’è affetto, passione, mancanza di visione che ottenebra la mente.
Quindi qual è l’inconscio dell’Italia?
A questa domanda pare che tentino di rispondere due libri formidabili “Governare le fragilità” di Roberto Garofoli e Bernardo Mattarella e “La società adolescente” di Narciso Mostarda. Il primo volume esamina le debolezze e la forza delle istituzioni italiane mentre l’altro guarda a come gli adulti italiani non sono più tali ma invece adolescenti permanenti. Sono sguardi penetranti e acuti a cui forse si può aggiungere un’altra prospettiva sul “vincolo esterno”. Ogni Paese nasce a cominciare dai suoi confini, come una casa comincia dai muri perimetrali.
L’Italia politica forse ha tre psicologie. La prima è quella del suo inizio. Il regno d’Italia proclamato nel 1861 nasce con un patto abbracciato in piena coscienza tra i Savoia, Francia, Inghilterra e poi anche Prussia. Queste tre potenze dominanti dell’assetto mondiale volevano sbarazzarsi dei due pilastri del continente per un millennio, il Sacro Romano Impero (l’Austria con la sua appendice iberica) e lo stato pontificio. Le due istituzioni rimanevano cruciali in Europa ma erano insignificanti nel mondo, nuovo campo di azione delle autorità emergenti.
La nascita dell’Italia dava legittimità e dignità a un progetto globale. Il Regno d’Italia, una nazione senza precedenti (Inghilterra, Francia, Spagna e anche Prussia avevano tutte storie secolari) emergeva sulla terra cuore della storia europea, dalla Magna Grecia, a Roma, al Rinascimento. Una entità geografica e culturale precisa ma senza mai alcuna unità/identità politica prima di allora. I neoitaliani furono attori attivi di questa genesi. Avevano un’ambizione di allargare i propri confini temperata dal realismo politico. Mussolini perse il realismo politico o perse il senso del suo Paese o della realtà del mondo andando in una guerra che avrebbe perso.
La seconda comincia tra il 1943 e il 1948. L’Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale, emerge davvero nuova, tanto da smettere di essere un regno. Nasce con un padre e una madre – la Santa Sede e l’America, non sempre perfettamente allineati. Poi rapidamente si accumulano altri punti di riferimento importanti — Israele, Francia, UK, Germania (elencati in ordine sparso). Verso questi Paesi si sviluppa un rapporto dialetticamente positivo ma abbastanza subordinato. L’Italia repubblicana riesce dove il Regno aveva fallito: modernizza il Paese e lo mette al passo con le maggiori nazioni del continente.
Dagli anni ’90 ad oggi c’è la terza. Con la fine della Guerra Fredda più o meno rapidamente sia l’America che la Santa sede si allontanano dall’Italia. Entrambi hanno altre priorità rispetto alla salvaguardai politica dello stato italiano. La geografia italiana rimane importante, ma la Santa Sede non può distrarsi dal mondo per salvare il governo di Roma né può farlo l’America. Cioè rimane l’idea della sudditanza verso i poteri forti del Paese ma con maggiore passività. Negli ultimi vent’anni si sviluppa così una nuova relazione verso i “vincoli esterni” nazionali (a cui si è aggiunta più incisivamente la Ue). Sembra un rapporto come quello del ragazzino viziato che vuole il papà per aggiustargli i pasticci, e intanto ama fare pasticci.
Le regole dell’Unione europea, che avrebbero dovuto mettere in riga il Paese, sono state usate spesso per ricattare l’unione e mancare agli impegni comuni. Nascono su una eredità politica passata. La Dc navigava tra mille fragilità, la minaccia comunista, quella delle organizzazioni terroristiche palestinesi e quindi gestiva il suo rapporto con “padre” e “madre” in maniera delicata. Ma dopo la fine della guerra fredda le fragilità sono sparite, e si sarebbe dovuto avere un rapporto più limpido con il vincolo esterno.
Non può esserci un rapporto come fra genitori e figlio discolo. Il discolo italiano pensa che dopo qualunque monelleria papà e mamma grideranno ma lo perdoneranno perché così sono i genitori italiani.
Ma i genitori non sono italiani. La Santa sede è sempre più internazionale e gli Usa semplicemente hanno altre priorità rispetto alle beghe di Roma. In fondo le basi americane possono rimanere anche se la penisola si frantumasse in due, tre stati indipendenti. Questa è gente che vuole i figli fuori casa a 18 anni, che non si pensa genitore ma partner e si infuria se un altro partner non fa il suo lavoro o ruba dalla cassa.