Francia e Regno Unito rilanciano la loro cooperazione nucleare con un accordo che prevede risposte congiunte in caso di crisi, ma senza rinunciare alla sovranità nazionale. L’intesa include anche una stretta collaborazione su tecnologia e industria militare, mentre in Europa crescono i timori circa un ritiro dell’ombrello nucleare Usa
La Northwood Declaration, siglata dal primo ministro britannico Keir Starmer e dal presidente francese Emmanuel Macron, segna un avanzamento significativo nella cooperazione nucleare bilaterale tra le due principali potenze militari europee. Un’intesa che, pur restando saldamente ancorata alla logica degli arsenali nazionali, apre un nuovo capitolo nella postura di deterrenza nucleare europea.
La dichiarazione riafferma con chiarezza la natura “nazionale, indipendente e sovrana” dei due deterrenti nucleari, ma introduce un principio nuovo nella prassi bilaterale: in caso di minaccia estrema alla sicurezza dell’Europa, Parigi e Londra si impegnano ad agire con “una risposta congiunta”. Questo non implicherà necessariamente una vera e propria condivisione operativa, né l’integrazione tecnica degli arsenali, ma piuttosto l’istituzionalizzazione di un coordinamento strategico, pensato per rafforzare la credibilità del deterrente in un contesto internazionale in rapido mutamento.
L’accordo prevede inoltre la creazione di un Nuclear steering group, presieduto a livello presidenziale e governativo dalle due capitali, con il compito di sviluppare linee comuni su posture, dottrina, scenari di crisi e percorsi di disarmo. Un gruppo permanente, con una visione di medio-lungo periodo, in grado di rafforzare la coerenza strategica europea e, al contempo, preservare l’interesse nazionale. È una scelta, questa, che pur collocandosi all’interno del quadro Nato suggerisce un’evoluzione autonoma della capacità di deterrenza europea, capace di integrarsi e rafforzare l’architettura transatlantica senza duplicarla.
Di quante atomiche dispongono Francia e UK
Francia e Regno Unito sono le uniche potenze nucleari europee. Parigi dispone di circa 290 testate nucleari, distribuite principalmente su vettori quali sottomarini nucleari classe Triomphant e caccia Rafale equipaggiati con missili aria-superficie Asmp-A. Londra, dal suo canto, mantiene un arsenale di circa 225 testate, equipaggiate sui sottomarini classe Vanguard, dotati di missili balistici Trident II D5. Entrambi i Paesi non dispongono di una triade nucleare completa, difettando della componente Icbm (missili balistici intercontinentali lanciabili dai silos a terra) e affidandosi a sistemi sottomarini e aerei. Infatti, Londra ha recentemente annunciato il ripristino della propria componente nucleare aerea, confermando l’acquisto di 12 caccia F-35A, certificati per il trasporto di bombe nucleari americane B61-12.
L’intesa anche sul piano industriale
Accanto alla dimensione strategica, la dichiarazione di Northwood consolida anche la cooperazione industriale e tecnologica tra i due Paesi. In particolare, viene confermato il lavoro congiunto su missili da crociera di nuova generazione (che andranno a rimpiazzare i ben noti Storm Shadow e Scalp), missili anti-nave, e capacità ad alta precisione.
La sinergia si estenderà anche al cyber, allo spazio, alla sensoristica avanzata e alla sicurezza quantistica, a testimonianza di una moderna visione multidimensionale della deterrenza. La sovranità, oggi, si costruisce anche così.
L’inizio di una nuova era nucleare in Europa?
Il tempismo dell’accordo tra Francia e Regno Unito non è casuale. La guerra in Ucraina — e ancor più le incertezze sul coinvolgimento americano in Europa — hanno ridisegnato le priorità di sicurezza nel continente, evidenziando la necessità di un’assunzione di maggiore responsabilità da parte dei suoi Stati. Anche alla luce di ciò, la Northwood Declaration non rappresenta una rivoluzione. Infatti, non introduce un ombrello nucleare europeo formale, né prefigura una difesa comune nel senso stretto del termine. Ma costituisce un precedente politico rilevante, un passo concreto verso una maggiore coerenza strategica europea, nel momento in cui i rischi sistemici si moltiplicano e le risposte devono essere coordinate, credibili e multilivello. Non è neanche detto che la storia debba necessariamente chiudersi qui. Gli eventi degli ultimi mesi ci hanno abituato a capovolgimenti, cambi di opinione ed evoluzioni repentini. L’intesa tra le due sponde della Manica potrebbe non essere solamente una misura per rassicurare chi in Europa teme il ritiro dell’ombrello nucleare Usa (possibilità vaticinata da un memo top secret del Pentagono circolato qualche mese fa), ma il primo passo di un percorso più ampio, mirato a costruire — anche sul piano formale — un vero e proprio pilastro nucleare europeo della Nato. Certo, poche centinaia di testate non basteranno a compensare lo squilibrio con le 6mila atomiche della Russia, ma va anche detto che, come soleva dire Charles de Gaulle quando gli veniva chiesto quali fossero le possibilità della Force de Frappe contro l’arsenale atomico sovietico, “Non abbiamo bisogno di una quantità enorme di testate nucleari come il nostro nemico. Ciò che conta è avere la capacità di infliggere un colpo inaccettabile a chiunque ci minacci”. D’altronde, la deterrenza è esattamente questo.