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Georgia, attrazione europea

Sono passati tre anni dall’invasione russa della Georgia, e due anni da quando l’Unione europea ha lanciato la sua Partnership orientale (2009). La Partnership orientale è stata concepita prima del conflitto, ma la sua implementazione è stata accelerata dopo il conflitto, al fine di rassicurare la Georgia, e i suoi irrequieti vicini, che l’Unione europea è contro ogni tentativo russo di imporre una propria sfera di influenza regionale.
 
Ma la Partnership orientale dispone di un budget piuttosto ridotto e limitato ai progetti tecnici; in quanto tale, non si è mostrato uno strumento molto efficace per la proiezione di potenza europea nell’area. L’unico leader europeo di rilievo che ha preso parte al lancio della Partnership a Praga, nel maggio 2009, è stato Angela Merkel. L’Unione europea può fare di più per i suoi alleati, ma la Partnership orientale è ancora alla ricerca difficoltosa di una storia di successo. Non molto tempo fa al summit Ue-Ucraina, quest’ultima sperava di firmare un nuovo accordo di associazione e di libero scambio allargato. Ma quegli accordi sono ora messi in discussione dalla vicenda giudiziaria dell’ex primo ministro Yulia Tymoshenko, oggetto di un evidente attacco politico.
 
Più a est, la Georgia, fin dalla sua “rivoluzione delle rose” nel 2003, ha coltivato l’immagine di roccaforte ultraliberale, attaccando ufficialmente l’Unione europea per la sua “civiltà sclerotizzata” e il Fondo monetario internazionale, definito “Gosplan sul Potomac”. Non era semplice retorica. Quando non riescono a riformare le istituzioni, i georgiani tendono semplicemente ad abolirle; i casi più clamorosi sono i vigili urbani e l’Agenzia per gli standard alimentari. Un progresso vero è stato realizzato nella lotta alla corruzione: meno del 5% dei georgiani fa pagamenti non registrati, secondo il rapporto Life in transition 2011 della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Ma gli anni del boom tra il 2004 e il 2008, con tassi di crescita che hanno toccato il 12% nel 2007, sembrano ormai alle spalle. Gli investimenti diretti esteri in entrata nel 2010 hanno raggiunto i 553,1 milioni di dollari (4,7% del Pil), in forte calo dal record di 2 miliardi di dollari nel 2007 (19% del Pil). Il mercato russo è crollato, a causa del bando delle importazioni posto per motivi sanitari e di sicurezza. Le importazioni turche dominano i mercati alimentari locali, nonostante la storica reputazione di cui godono vino, frutta e acqua minerale della Georgia.
 
L’improvviso entusiasmo per l’Europa mostrato dal governo georgiano è dovuto al crollo delle aspirazioni atlantiche dopo il 2008, nonché al rilancio delle relazioni con Mosca voluto da Obama. Una mossa assai sgradita in un Paese in cui la strada per arrivare all’aeroporto di Tbilisi, la capitale, si chiama George W. Bush Avenue. Il presidente Mikheil Saakashvili ha messo la sordina alla retorica della Georgia come nuova Singapore. Ancora parla di un futuro con meno tasse e meno regolamentazione, ma ora usa la metafora di Singapore in senso geopolitico: come la città-Stato orientale, dice Saakashvili, la Georgia è uno snodo regionale compresso tra vicini egemonici e un’economia dinamica fiorita su una base cosmopolita. Relazioni più strette con l’Unione europea implicano l’adozione di parametri politici.
 
La Georgia ha liberalizzato il suo codice civile a favore delle minoranze etniche e religiose, nonostante la forte opposizione della Chiesa ortodossa nazionale. Ma la scena politica continua ad essere polarizzata tra una élite di governo arroccata al potere, e con una certa predisposizione per le maniere spicce, e un’opposizione debole e divisa, in cui l’ala massimalista si è messa ai margini con le sue continue campagne per ottenere le dimissioni di Saakashvili. Cinque giorni di manifestazioni di piazza a Tbilisi lo scorso maggio sembravano la perfetta ricetta per far scoppiare la violenza. Il governo non si è certo coperto di gloria inviando sul posto le forze antisommossa, anche se i due dimostranti uccisi sembra siano stati travolti dall’auto in fuga di un leader dell’opposizione. Le elezioni presidenziali sono previste per gennaio 2013, quando scadrà il secondo ed ultimo mandato di Saakashvili. Il presidente nega che intenda imitare Vladimir Putin, spostandosi nella casella di primo ministro; ma è un politico giovane, classe 1967, e la sua missione di recuperare le regioni secessioniste dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale è ancora incompiuta.
 
In Georgia l’opinione prevalente è di poter disporre della combinazione ottimale: relazioni migliori con l’Unione europea, mantenendo quel dinamismo che la rende unica. Secondo la stessa vulgata, l’adozione dell’accordo di libero scambio allargato provocherà solo marginali aumenti del costo del business. Intanto, si cerca di rassicurare gli investitori esteri che il cuore libertario del Paese continua a battere. In luglio il governo ha varato una legge sulla libertà economica, che sottopone a referendum ogni nuova imposizione fiscale, introducendo parametri macroeconomici vincolanti per mantenere il deficit di bilancio sotto la soglia del 3%, il debito sotto il 60% e la spesa pubblica sotto il 30% del Pil. La disciplina fiscale, insomma, non sembra appannaggio del solo nord Europa.
 
Va ricordato che il nuovo slancio europeista della Georgia è legato all’obiettivo di riportare Abkhazia e Ossezia meridionale sotto controllo. Ora che la membership Nato non è più una prospettiva immediata, Giorgi Bokeria, capo del Consiglio di sicurezza nazionale, ha chiesto alla Ue di svolgere un ruolo militare più tangibile nella regione, trasformando la sua missione di monitoraggio in Georgia in qualcosa di più simile alla forza di peace-keeping dispiegata in Bosnia.
La Georgia testerà la nuova flessibilità dell’Europa verso l’est. Il Paese è in vantaggio sui suoi vicini in molte aree, ma è indietro in altre, come la sicurezza nazionale. Ma da entrambe le parti è finalmente emersa la volontà politica di una maggiore integrazione.
 
© Project Syndicate 2011. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia


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