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Chi ci guadagna dal referendum sulla Slovenia nella Nato

Un sondaggio nazionale riferisce che la maggioranza dei cittadini sloveni non voterebbe per l’uscita dalla Nato, dal momento che il Paese finirebbe senza un ombrello protettivo e soprattutto alla mercè dei big player esterni che, nel costone balcanico, continuano ad avere interessi e aspirazioni. Ma già il solo fatto di parlare di referendum sull’alleanza atlantica rappresenta di per sé un motivo di tensione

La prima domanda da porre è se c’è stata una pressione esterna dietro la decisione del primo ministro Robert Golob di indire un referendum sulla permanenza della Slovenia nella Nato. Un punto di partenza imprescindibile per distendere un ragionamento il quanto più possibile analitico su un fatto che potrebbe avere parecchi effetti, sia sugli alleati che sui players esterni che puntano all’indebolimento dell’alleanza atlantica. Il parlamento sloveno infatti ha detto sì alla proposta di Levica, partner di coalizione di sinistra di Golob, di indire un referendum consultivo sull’aumento della spesa per la difesa al 3 per cento del Prodotto interno lordo entro il 2030. Ma mentre il Partito della Libertà di Golob ha votato no, i partner governativi di centro-sinistra della coalizione si sono schierati con l’opposizione. Il corto circuito è servito.

Qui Lubiana

Non regge molto la giustificazione che l’avvicinarsi delle prossime elezioni politiche (previste tra un anno) sia stata la miccia che ha innescato un corto circuito geopolitico. Se da un lato i sondaggi danno il premier molto indietro rispetto al conservatore del Sds Janez Janša (20, contro il 29%), non può essere solo una diatriba interna alla base di una iniziativa che sarebbe destabilizzante, proprio mentre lo stesso Golob ha apposto la propria firma sull’aumento delle spese militari fino al 5% del pil. Il recente vertice dell’Aia ha segnato uno spartiacque programmatico, che non può essere messo in discussione da decisioni politiche dell’ultimo minuto. A meno che non ci sia stata una sottile ma silenziosa moral suasion esterna. La Slovenia è uno dei membri Nato con la percentuale di spesa più bassa, l’1,29% del suo pil. Golob ha detto testualmente che ci sono solo due possibilità: “O restiamo nella Nato e paghiamo la quota di iscrizione, oppure abbandoniamo l’alleanza: tutto il resto è un inganno populista dei cittadini sloveni”.

Chi è Janez Janša

È già stato primo ministro dal marzo 2020 al giugno 2022, in precedenza dal dicembre 2004 al novembre 2008 e dal febbraio 2012 al marzo 2013. Ha 66 anni e ha assunto la guida dell’SDS nel 1993. L’unica volta che affrontò uno sfidante fu nel 1993, quando Andro Ocvirk ottenne 12 voti rispetto ai suoi 198. Lo scorso maggio un altro plebiscito: il congresso del suo partito gli ha confermato il decimo mandato consecutivo presentando anche un nuovo manifesto conservatore in stile Maga, ovvero “Riprendiamoci lo Stato. È tuo”, nella convinzione che la Slovenia è stata “sequestrata da ristretti gruppi di interesse ed élite politiche, economiche e mediatiche”. Questo è Janez Janša, che ha preso un impegno dinanzi ai suoi elettori: mai in coalizione con la sinistra, accusa il governo Golob che non ha fatto nulla per invertire il trend sloveno che presenta il maggiore calo del oil nell’Ue nel primo trimestre di quest’anno, nonostante l’elevata occupazione, mentre aumentano le tasse.

Gli effetti del referendum

Al momento un sondaggio nazionale riferisce che la maggioranza dei cittadini sloveni non voterebbe per l’uscita dalla Nato, dal momento che il Paese finirebbe senza un ombrello protettivo e soprattutto alla mercè dei big players esterni che, nel costone balcanico, continuano ad avere interessi e aspirazioni. Ma già il solo fatto di parlare di referendum sull’alleanza atlantica rappresenta di per sé un motivo di tensione, che verosimilmente verrà utilizzato da Mosca come un grimaldello comunicativo. Ma è il punto interrogativo “balcanico” a rappresentare una variabile.

Se Croazia, Albania e Montenegro sono più allineati con Bruxelles e non rappresentano un fronte di preoccupazione, Serbia e Kosovo no, con la diatriba storica che è ben lontana da una soluzione. Pristina, con il mancato accordo sul presidente del Parlamento che di fatto blocca l’amministrazione pratica, potrebbe voler usare la frattura tra Stati Uniti e Unione Europea su dazi e difesa, ma compiendo un gesto pericoloso.

La Serbia, inoltre, sebbene abbia votato a favore della risoluzione europea a sostegno dell’Ucraina, ha successivamente fatto marcia indietro per volontà del premier Vucic che resta in diretto collegamento con il Cremlino. Discorso a parte merita la Bosnia Erzegovina, dove il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik sta intensificando il suo programma secessionista e quindi idealmente distante da Ue e Nato. Ecco che alla luce di questo scenario, appare di tutta evidenza che la Slovenia che riempie le prime pagine dei media europei (e non) con un referendum sulla Nato non sarebbe un elemento di stabilità e coesione euroatlantica.


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