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Grillo e i Cinque Stelle pronti a salvare Berlusconi?

All’indomani del voto della Giunta del Senato che ha dato il via libera alla decadenza di Silvio Berlusconi dal Parlamento nulla sembra ostacolare la decisione definitiva dell’Aula, prevista tra il 14 e il 18 ottobre.

Adesso lo scontro si è focalizzato sull’ipotesi di una deliberazione per scrutinio palese, auspicata dai fautori dell’estromissione del Cavaliere dallo scranno di Palazzo Madama: Movimento Cinque Stelle e Partito democratico. A rivendicare la validità del voto segreto, stabilito dall’articolo 113 terzo comma del regolamento del Senato, è invece l’intero centro-destra.

Il Pd lancia l’allarme sulla manovra dei Cinque Stelle

Tuttavia, oltre l’ufficialità del conflitto procedurale tra avversari e supporter dell’ex premier, sta prendendo corpo un’altra controversia, più sottile e velenosa. A renderla pubblica è l’accusa del parlamentare del Partito democratico Stefano Esposito. Il quale, traendo spunto dal post offensivo nei confronti del Cavaliere inserito su Facebook dall’ex capogruppo del M5S Vito Crimi, lancia l’affondo: “I grillini senza Berlusconi sono morti. Ciò che stanno facendo in Giunta, con un vero e proprio assist all’ex Presidente del Consiglio, è propedeutico a quello che faranno in Aula. Lì dovremo stare molto attenti, perché voteranno contro la decadenza”.

Analogia con l’aprile 1993

Le sua parole fanno tornare la mente a un precedente storico ritenuto lo spartiacque nel passaggio dalla prima alla seconda stagione della Repubblica. È il 29 aprile 1993 e la Camera dei deputati è chiamata a votare su sei richieste di autorizzazione a procedere avanzate dalla Procura di Milano contro il segretario del Partito socialista Bettino Craxi. Le imputazioni comprendono la corruzione, la concussione, il finanziamento illecito ai partiti. La giunta per le immunità ha dato parere favorevole, escludendo che le accuse siano viziate da fumus persecutionis. Il leader del Garofano si difende riconoscendo le responsabilità politiche di quasi tutte le formazioni – Partito comunista incluso – nella costruzione di un’illegalità radicata e “ambientale”, respinge con sdegno i “processi sommari di piazza” ed esorta il Parlamento a una complessiva riforma per rendere funzionanti le istituzioni democratiche. Si esprimono per l’autorizzazione al processo Partito democratico di sinistra, Rifondazione comunista, Verdi, Radicali, Partito repubblicano, Lega Nord, Rete, Movimento sociale. Tre forze, quest’ultime, in prima linea nel cavalcare le campagne giustizialiste e giacobine che sull’onda della rabbia popolare vogliono travolgere l’intera classe dirigente. Terrorizzata dallo spettro di un rivolgimento traumatico, la Democrazia cristiana si aggrega alla scelta di accogliere la richiesta dei magistrati.

La decisione dell’Aula e il destino politico di Bettino appaiono segnati. Ma a scrutinio segreto e per quattro volte l’Assemblea presieduta da Giorgio Napolitano respinge le domande dei giudici, soprattutto per le accuse più gravi. Tra le urla furiose delle opposizioni di destra e sinistra e le lacrime dei parlamentari socialisti, l’emiciclo si infiamma. Mentre il leader repubblicano Giorgio La Malfa grida contro “l’abisso scavato con l’opinione pubblica”, il democratico-cristiano Francesco D’Onofrio, ascoltato consigliere giudico del Capo dello Stato Francesco Cossiga, accusa MSI e Carroccio di “aver salvato Craxi nel segreto dell’urna, per delegittimare il Parlamento e scatenare la piazza”. Il suo futuro alleato Gianfranco Fini replica parlando di “mascalzonata” e Umberto Bossi attribuisce ai “franchi tiratori” della Dc la scelta di votare contro l’autorizzazione a procedere”. Nel corso degli anni più di una testimonianza ha avvalorato le parole pronunciate da D’Onofrio. Ed è fuor di dubbio che a capitalizzare in termini elettorali la reazione dei cittadini furono le forze guidate da Fini, Bossi e Leoluca Orlando.

A risentirne è il governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, da poco nominato e ancora alla ricerca della fiducia del Parlamento. Il suo profilo innovatore viene annacquato dalle dimissioni di cinque ministri progressisti, tra cui i primi tre esponenti post-comunisti dal 1947. Oltre a La Malfa e a Francesco Rutelli, rassegnano il mandato Augusto Barbera, Vincenzo Visco, Luigi Berlinguer. La sera seguente una folla inferocita composta per lo più da militanti del PDS e giovani missini dà vita davanti all’Hotel Raphael a un selvaggio lancio di monetine all’indirizzo di Craxi. Per veder abrogata l’autorizzazione parlamentare all’indagine e al processo verso deputati e senatori, concepita per tutelare libertà e autonomia dei rappresentanti del popolo ma divenuta l’espressione di una giustizia parallela sinonimo di impunità, bisognerà attendere l’ottobre del 1993.

La storia potrà ripetersi?

Gli odierni “giustizialisti” Cinque Stelle potrebbero ripetere l’operazione compiuta vent’anni fa dalle “forze anti-sistema” per riversare sul Partito democratico la responsabilità del “salvataggio” del Cavaliere? Provocando forti reazioni nell’opinione pubblica e aprendo scenari di crisi impensabili? All’ipotesi non crede l’ex direttore de L’Unità Giuseppe Caldarola che, pur riconoscendo come “la logica dello sfascio sia iscritta nel codice genetico del M5S”, spiega che sul piano tecnico è difficile portarla a compimento. Perché “forme sottili di furbizia parlamentare richiedono un gruppo coeso o una perizia analoga a quella dimostrata dai 101 rappresentanti del Pd che hanno impallinato Romano Prodi nella corsa per il Quirinale. Parlamentari guidati da molti capi e che non riveleranno mai la propria identità”. La compagine senatoriale delle Cinque Stelle, rimarca il giornalista, è piena di colombe e il controllo lo impone la Rete: “La segretezza del voto risulterebbe impossibile, poiché vi sarebbe qualche talpa che in tempo reale farebbe i nomi dei salvatori del Cavaliere”. Più possibilista è la firma del Foglio Pietrangelo Buttafuoco: “Essendo il partito di Beppe Grillo una pura manifestazione di goliardia, con loro tutto può avvenire”. Ma lo scrittore respinge ogni paragone con i protagonisti del voto della primavera 1993: “Le Cinque Stelle rappresentano l’espressione peggiore della democrazia. Non è accettabile porli sullo stesso piano del Carroccio e del Movimento sociale, che incarnavano un territorio e una comunità”.



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