La Nato aggiorna la propria postura difensiva sul Fianco orientale con un nuovo piano operativo che punta su prontezza, coordinamento e interoperabilità. Dal dominio terrestre al controllo dello spazio aereo e di quello marittimo, l’Alleanza punta a creare una linea di deterrenza che renda impossibile a Mosca valutare la possibilità di un futuro attacco in Europa
La Nato si prepara a irrobustire la sua presenza sul Fianco Est dell’Alleanza e lo fa con un nuovo piano operativo, rinominato Eastern flank deterrence line. Presentato a Wiesbaden dal generale Christopher Donahue, comandante delle forze Usa in Europa, la nuova strategia guarda alla difesa terrestre del territorio Alleato con una logica più coordinata, meno dispersiva e orientata alla prontezza operativa. Il messaggio, nonché il suo destinatario — Mosca —, sono chiari: un’eventuale offensiva russa contro il fianco orientale — in qualsiasi suo punto e in ogni dominio — incontrerà un perimetro di difesa integrato e in grado di rispondere con rapidità e coordinazione come mai prima d’ora.
Una linea di deterrenza terrestre…
“Il dominio terrestre non sta diventando meno importante, semmai sta diventando più importante. Ora è possibile eliminare le bolle A2AD (anti-accesso e interdizione aerea) direttamente da terra. Ora è possibile controllare anche il mare da terra. Tutte cose che stiamo osservando accadere in Ucraina”. Così Donahue ha spiegato il significato del nuovo piano, che punta a costruire una linea di difesa terrestre integrata e pienamente interoperabile, che vada dal Baltico al mar Nero, senza distinzione operativa tra i diversi confini degli Stati Alleati.
L’approccio che Donahue propone è quello di investire in una “rete terrestre” dove le unità possano parlare la stessa lingua digitale, si muovano secondo gli stessi standard e possano essere rinforzate senza sconvolgere ogni volta il sistema da zero. È un modello che supera il vecchio schema della divisione Paese per Paese, per passare a una struttura distribuita su base funzionale. Serve a rispondere più velocemente e con meno sprechi, specie in un’area come quella baltica, separata dal resto dell’Alleanza dall’exclave russa di Kaliningrad e dal corridoio di Suwałki.
Ed è proprio a Kaliningrad, perno della stabilità strategica russa in Europa nonché punta di diamante delle capacità di interdizione aerea e navale di Mosca nel Baltico, che Donahue pensa: “Siamo in grado di distruggerla da terra in un lasso di tempo senza precedenti e più velocemente di quanto siamo mai stati in grado di fare”.
… una aerea…
Nel frattempo, a Nord, si apre un altro fronte organizzativo. Il capo di Stato maggiore dell’aeronautica britannica, Richard Knighton, ha suggerito di utilizzare la regione settentrionale dell’Alleanza – Finlandia e Svezia in particolare – come sede delle prossime grandi esercitazioni della Nato. I due Paesi sono ormai integrati nell’architettura militare atlantica. Dispongono già di uno spazio aereo libero, di infrastrutture moderne e di una cultura di interoperabilità molto vicina agli standard Alleati. Stando a quanto dichiarato da Knighton, i vertici delle aeronautiche Alleate hanno iniziato a discutere della creazione di corridoi aerei rapidamente attivabili in caso di necessità. Specie se unita a una neutralizzazione da terra degli assetti anti-aerei di Kaliningrad, tale combinazione potrebbe consentire alla Nato di ottenere la superiorità aerea sulla regione baltica in tempi estremamente rapidi.
… e una navale
Contemporaneamente, anche le opzioni navali russe sono sempre più ridotte. Con l’adesione formale di Finlandia e Svezia, il Baltico si è di fatto trasformato in un “lago della Nato”. La Marina russa, che già non se la passa bene dopo anni di tiro al bersaglio da parte delle forze ucraine nel mar Nero — i cui stretti rimangono chiusi, impedendo l’invio di rinforzi o la rotazione dei vascelli —, si vede ora “in ostaggio” delle sue basi a Kaliningrad e San Pietroburgo.
L’innalzamento della presenza Nato a Est
Dall’invasione dell’Ucraina nel 2022, la Nato ha intensificato in modo drastico la sua presenza sul fianco orientale. Attualmente, circa 40.000 unità sono schierate in rotazione permanente tra Polonia, Paesi baltici e Romania, suddivise in 4 brigate multinazionali ad alta prontezza (Enhanced Forward Presence), dotate di mezzi pesanti e capacità avanzate di difesa aerea. A questi contingenti fissi, si aggiungono le quasi 500.000 unità delle Forze di reazione rapida, riformate proprio in questi anni a seguito dell’invasione come forma di deterrenza convenzionale nei confronti della Russia, che potrebbero essere schierate in tempi record in caso di crisi.
Preparazione o provocazione?
Il punto rimane sempre il medesimo: la Nato non intende lanciare provocazioni eccessive alla Russia, ma neanche restare con le mani in mano mentre sempre più servizi di intelligence lanciano l’allarme circa la possibilità di un’offensiva sul continente nei prossimi anni. Tali campanelli d’allarme — i quali, nell’analisi di intelligence, rimangono scenari non derubricabili facilmente — non devono essere sottovalutati. D’altronde, anche nel dicembre del 2021 diversi report dei servizi d’informazione Alleati vaticinavano la possibilità di un’offensiva su vasta scala in Ucraina. In questo contesto — senza dimenticare gli oltre tre anni di guerra alle porte dell’Alleanza —, il rafforzamento della presenza Nato sul fianco orientale non può essere definito come una provocazione. Semmai, si dovrebbe parlare di una riformulazione — perfettamente coerente da un punto di vista strategico-militare — della propria postura di deterrenza nei confronti di un attore potenzialmente ostile. E forse, prima di affermare che la Russia non lancerebbe mai un attacco contro l’Europa, sarebbe meglio ricordarsi che la stessa cosa fu detta anche per l’Ucraina.