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L’Italia che guarda avanti

Quando ci interroghiamo sul futuro del nostro Paese, finiamo quasi sempre per trarre conclusioni pessimistiche. Non mancano certo elementi positivi ma questi non ribaltano la nostra valutazione. Semmai aumentano la nostra amarezza per una deriva che sarebbe evitabile sol che lo volessimo, sol che risvegliassimo in noi il senso di appartenenza ad una Comunità ricca di storia e, per secoli, faro di civiltà. Amarezza tanto maggiore quando osserviamo i molti talenti che si sprecano, i molti casi di persone che con abnegazione e fantasia lavorano silenziosamente per migliorare le condizioni di vita della Collettività di cui fanno parte. Sono casi non sempre noti, che dovremmo far conoscere anche per la grande forza di contagio che recano in sé. Eppure il nostro Paese non va; cresce poco e male; perde vistosamente terreno; vede accentuarsi gli squilibri sociali; sembra irrimediabilmente incamminato sulla strada di un declino che è, al tempo stesso, economico, sociale, culturale ed etico. Sappiamo tutti che questi mali vengono da lontano e sono imputabili solo in piccola parte alla grave crisi iniziata nel 2008 e ancora in atto. Sicché quando l’occidente uscirà in qualche modo da questa crisi, il nostro Paese si ritroverà con gli stessi problemi di prima, in qualche caso addirittura aggravati.
 
Sulle cause di questo stato di cose molto si dice e altrettanto si scrive. Noi non vogliamo aggiungere un’altra prospettazione alle tante, più o meno plausibili, che circolano. Ci sembra più opportuno, invece, domandarci se e come il nostro Paese può uscire dal pantano nel quale è finito. Che ne possa uscire non abbiamo dubbi. Ma non abbiamo neppure dubbi sul fatto che non esistono ricette bell’e pronte, capaci di produrre effetti immediati. Non esistono soluzioni miracolistiche. Di questo dobbiamo essere consapevoli e dobbiamo guardare con sospetto e scetticismo a tutti coloro che ci vorrebbero far credere il contrario. La strada è lunga e impegnativa. Sul piano più propriamente politico, dobbiamo superare quella sorta di contrapposizione ideologica, latente nella nostra società, che avvelena i rapporti civili; ha già prodotto molti guasti e, quel che è peggio, promette di produrne altri ancora maggiori. Più che le nostre qualità, infatti, esalta i nostri difetti: spinge alla visione di breve periodo, alimenta l’illusione che tutti i problemi si possano risolvere, hic et nunc, con un provvedimento normativo, con una riforma. E così viviamo nell’attesa messianica “delle riforme”, che il più delle volte si rivelano per quello che sono: riforme malfatte, riforme fallite, perché concepite in uno spirito di contrapposizione e non di collaborazione e al di fuori di un coerente disegno complessivo.
 
L’Italia ha bisogno di una grande svolta e di una forza politica che abbia al suo interno un gruppo di persone capace di attuarla. L’Italia non ha bisogno di un improbabile leader carismatico, figlio di una concezione verticale e sostanzialmente sbagliata del potere. Stiamo vedendo che questo modello porta non ad un’accelerazione dei processi decisionali, ma ad un vuoto e ad una paralisi proprio sul piano dei fatti e della strategia, che rivelano l’assenza di un’elaborazione collettiva delle politiche e l’esigenza di creare un gruppo dirigente. Per questo riteniamo necessaria una forza politica che abbia in sé un gruppo di persone che, dopo aver raccolto le tante idee che circolano nella nostra società, sappia costruire una “politica” di vasto respiro, sappia ottenere su di essa un vasto consenso popolare e sappia infine realizzarla. Non possiamo più vivere alla giornata. Non possiamo andare avanti con “manovre” più o meno improvvisate, confezionate in fretta, alla bell’e meglio nel tentativo – il più delle volte vano – di appagare le aspettative dei cosiddetti mercati; con manovre che lacerano sempre più il già lacero tessuto sociale del nostro Paese, senza produrre alcun apprezzabile effetto in termini di sviluppo. Ormai è chiaro che questo tipo di “manovre” non funziona. Il loro susseguirsi a ritmo sempre più incalzante punta ad un pareggio del bilancio annuale che probabilmente non raggiungeremo e se pure raggiungessimo, si tratterebbe pur sempre di un equilibrio assai precario, perché ottenuto senza scalfire l’enorme moloch del debito pubblico e senza ridurre, anzi accrescendo, le difficoltà dei ceti economicamente più deboli.
 
Non possiamo più vivere alla giornata. Dobbiamo darci delle mete che abbiano il più alto consenso possibile dei cittadini. Del resto siamo in epoca di globalizzazione, se non vogliamo soccombere, dobbiamo darci un ruolo nella nuova “divisione planetaria del lavoro” che è la naturale conseguenza della globalizzazione. Dobbiamo abituarci a pensare in termini di medio-lungo periodo, che non è – sia chiaro – una fuga dalle difficoltà dell’oggi e dalla durezza dei problemi che abbiamo di fronte; è piuttosto un modo per affrontare con metodo e coerenza questi problemi. Ricordiamoci che, per livello di reddito medio, noi italiani siamo nel primo 10-12% del mondo. Dietro di noi incalza l’88-90% dell’umanità. Se, in quella graduatoria, non vogliamo scivolare verso il basso – cosa che in realtà sta già accadendo – dobbiamo darci da fare; e molto. Dal canto nostro siamo convinti che in quella scala possiamo addirittura salire, perché abbiamo tutti i numeri per farlo. Ma dobbiamo impegnarci tutti con grande generosità, senza miopi egoismi.
 
Estratto delle linee programmatiche del progetto Per una nuova Italia (www.perunanuovaitalia.it) promosso dall’Associazione Amici dell’Istituto Sturzo, per gentile concessione dell’autore


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