Il colosso americano dovrà probabilmente rispondere del fatto che nei suoi semiconduttori H20 sono presenti tecnologie di geolocalizzazione e di disattivazione da remoto. Proprio il mese scorso Donald Trump aveva concesso il via libera alla ripresa delle spedizioni, convinto dal ceo Jansen Huang. Da vedere come questa mossa impatterà nelle relazioni tra le due sponde del Pacifico
Chiamata a rapporto. A Pechino c’è preoccupazione su alcuni chip di Nvidia, tanto che il colosso americano è stato convocato dalla Cyberspace Administration of China affinché “spieghi i rischi per la sicurezza della vulnerabilità e delle backdoor nei suoi chip H20 venduti in Cina e presenti la relativa documentazione di supporto”. Quali siano questi rischi non è dato sapere – sebbene la CAC aveva in precedenza segnalato la presenza di tecnologie che permettevano il tracciamento e la disattivazione da remoto – così ovviamente come le contro azioni che il governo cinese intende intraprendere per fugarli. D’altronde era già accaduto a Intel lo scorso anno, i cui chip erano passati al vaglio delle autorità sempre per la stessa ragione, ma da quel momento non ci sono state evoluzioni. E sempre a fine 2024, proprio su Nvidia era stata aperta un’indagine per la violazione degli impegni presi durante l’acquisizione dell’azienda israelo-americana Mellanox Technologies. Insomma, le inchieste sono una questione di routine. Ma questa volta la situazione è differente.
Nvidia è sempre più al centro della guerra commerciale e tecnologica tra Stati Uniti e Cina. Il suo ceo, Jensen Huang, il mese scorso si era prodigato in un’opera di persuasione nei confronti di Donald Trump per convincerlo a far riprendere le spedizioni di alcuni chip verso Pechino, il cui mercato era essenziale (17 miliardi di dollari dell’ultimo fatturato di Nvidia provenivano da lì). E soprattutto, i cinesi stavano dimostrando di potercela fare da soli anche senza know-how americano, rischiando così di superare gli americani nella corsa all’AI. Alla fine il presidente americano aveva dato il suo via libera sui semiconduttori H20, meno potenti rispetto alle unità di elaborazione per l’intelligenza artificiale. Ma alcuni legislatori bipartisan avevano presentato il Chips Security Act, che obbliga le aziende ad avere nei chip di ultima generazione tecnologia di rilevazione della posizione. Tuttavia, il fatto che Washington abbia fatto marcia indietro era stato visto come un passo in avanti verso Pechino, nell’ottica di un disgelo nelle relazioni.
Huang era volato anche nella capitale cinese per incontrare funzionari del governo per garantirgli di voler aumentare la produttività in modo sicuro, senza però specificare quanti chip avrebbe venduto. Nvidia, dunque, doveva fungere da ponte tra le due sponde del Pacifico, nella speranza che si potesse arrivare a una convivenza. “La ricerca open source – affermava Huang – e i modelli di base per scopi generali sono la spina dorsale dell’innovazione dell’intelligenza artificiale. Crediamo che ogni modello civile dovrebbe funzionare al meglio sullo stack tecnologico statunitense, incoraggiando le nazioni di tutto il mondo a scegliere l’America”.
Adesso c’è da capire come verrà presa questa decisione. Nvidia non sembra risentirne più di tanto, visto che nel pre market di Wall Street segna uno dei massimi storici (+1,8%, ovvero oltre 182 dollari). Da vedere invece se avrà un impatto sulle trattative che Stati Uniti e Cina stanno portando avanti con l’obiettivo di un accordo commerciale.