Un po’ riduttive e politiciste le letture che sono state date all’uscita anti-Cav di Enrico Letta. Quel “finito il ventennio berlusconiano”, più che come un intervento esterno nella guerra tra falchi e colombe del Pdl o una strana alchimia democratica per contrastare l’alleato-concorrente Matteo Renzi (questo il tono dei retroscena di questi giorni), va letto in funzione di due appuntamenti vicini: la Legge di stabilità e la manovrina da 1,6 miliardi per riportare il deficit sotto il 3%.
Per quanto riguarda quest’ultima, l’intenzione che sta emergendo al ministero dell’Economia è di riproporre le coperture che Enrico Saccomanni aveva già messo nel decreto per fermare l’aumento dell’Iva al 22%. Ora l’imposta sui beni e sui consumi è aumentata, ma potrebbe comunque riemergere il giro di vite sulle accise, in primo luogo quella sui carburanti, previsto nella bozza di provvedimento che era arrivata a Palazzo Chigi prima delle dimissioni dei ministri Pdl.
Per l’appuntamento con la ex legge finanziaria, invece, Palazzo Chigi e via XX settembre si stanno preparando a una guerra di posizione per fare passare un vero e proprio cambio di segno della politica economica: cioè inasprire le tasse sui consumi e sulle rendite (quindi anche sul mattone) per alleggerire quella sul lavoro. Una inversione a U che non potrà non riguardare anche l’Imu o comunque l’imposta che la sostituirà.
Ce lo chiede l’Europa, si ripete spesso dalle parti del governo. Ma lo chiede soprattutto il Pd, che nei primi mesi di governo Letta ha subito l’iniziativa del Pdl e ora pretende che il Presidente del consiglio contribuisca a riportare l’ago della bilancia a favore del partito di appartenenza. Un piano difficile da fare passare con un Pdl unito anche se straziato dalle divisioni. Più facile se le entità nel centrodestra fossero due.
La situazione ideale per Letta sarebbe stata avere nella cabina di regia due azionisti di minoranza al posto di un unico rappresentante del partito di Silvio Berlusconi. Ridare fiato alle divisioni tra falchi e colombe significa, nell’ipotesi migliore – dal punto di vista di Letta – fare diminuire il potere contrattuale del centrodestra. Nello scenario meno favorevole, comunque migliore rispetto a quello attuale, la speranza del premier è di avere rafforzato, con l’uscita anti-Cav, la parte più dialogante del Pdl. Quindi avere favorito un lavoro di squadra con i ministri Pdl, senza ingerenze dei gruppi parlamentari. Se il tentativo andrà a buon fine, il premier e il ministro Saccomanni, potranno sperare di fare passare cose che, fino a pochi giorni fa, non erano nemmeno immaginabili.