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Golden Dome, ecco come funzionerà lo scudo spaziale di Trump. I dettagli

La Difesa statunitense ha svelato quale sarà l’architettura operativa del Golden Dome, lo scudo spaziale e missilistico voluto da Trump. Strutturato su quattro livelli, integrerà sensori spaziali, intercettori terrestri e reti di comando avanzate. Il progetto coinvolgerà tutti i principali colossi della difesa Usa e servirà a schermare il continente nordamericano da minacce balistiche e ipersoniche

Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha deciso di alzare il velo sull’architettura operativa del Golden Dome, il futuro sistema di difesa missilistica destinato a proteggere l’intero territorio statunitense – Alaska e Hawaii inclusi – contro le minacce balistiche, ipersoniche e a lungo raggio. In un evento tenutosi a Huntsville, Alabama, davanti a oltre tremila rappresentanti dell’industria della difesa a stelle e strisce, il Pentagono ha illustrato il concept di una struttura articolata su quattro livelli, che integrerà sensori spaziali e intercettori terrestri in un’unica rete di comando e controllo.

Una multi-layered defense su quattro livelli

Il Golden Dome prende ispirazione dall’Iron Dome israeliano, ma ne amplifica il raggio d’azione su una scala decisamente più grande. Al vertice della piramide c’è la rete di sistemi e tracciatori spaziali, che includerà kill vehicle orbitali e piccoli satelliti armati di intercettori ad alta velocità, capaci di colpire i missili già nella loro fase ascendente. Seguono l’intercettazione in fase di volo medio (midcourse), affidata ai nuovi Next generation interceptor (Ngi) e ai missili SM-3 Block IIA, mentre la difesa ad alta quota, pensata per neutralizzare i veicoli di rientro e i glide body ipersonici, sarà gestita dalle batterie Thaad e dai missili SM-6. Chiude il quadro la difesa aerea ravvicinata (sotto i 40 chilometri di quota), che sarà basata sui missili Patriot PAC-3 MSE, batterie a corto raggio e a ricarica rapida e, in futuro, sistemi laser a energia diretta. Il tutto coordinato da una rete di comando e controllo capace di fondere i dati satellitari con quelli dei radar terrestri per fornire le soluzioni di tiro in tempo reale.

La cordata industriale che costruirà il Golden Dome

Il programma ha già attratto i colossi del settore: Lockheed Martin, Northrop Grumman, Boeing e Raytheon, forti delle esperienze accumulate su programmi come Thaad, Aegis, Gmd e le famiglie di intercettori Patriot e SM. Non è escluso anche  il coinvolgimento di SpaceX e Blue Origin per i lanci satellitari rapidi, mentre aziende specializzate come L3Harris e Aerojet Rocketdyne potrebbero fornire la componentistica critica. Il Congresso ha già autorizzato oltre 70 miliardi di dollari per lo sviluppo e il procurement dei nuovi sistemi, segnale che il consenso politico interno sul Golden Dome è, almeno per ora, trasversale.

Sul piano geopolitico, Washington deve infatti fare i conti con i programmi missilistici in rapida evoluzione da parte di Cina, Russia, Corea del Nord e Iran mentre, sul piano economico, l’investimento rappresenta un poderoso stimolo alla base industriale della difesa americana, con potenziali ricadute occupazionali e tecnologiche rilevanti.

La difesa aerea definitiva?

Nonostante la portata epocale dell’iniziativa voluta da Donald Trump, il sistema di difesa perfetto non esiste. Almeno, non ancora. Il paragone con l’Iron Dome israeliano è inevitabile ma ingannevole. Israele difende un territorio circoscritto e relativamente poco esteso, con traiettorie di minaccia facilmente prevedibili. Il Golden Dome, al contrario, dovrà essere in grado di coprire l’intero Homeland nordamericano da minacce quantitativamente e qualitativamente superiori a quelle fronteggiate da Israele. Attacchi saturanti, salve coordinate e l’uso di falsi bersagli potrebbero infatti ridurre l’efficacia complessiva del sistema e le armi ipersoniche, in virtù della loro imprevedibilità e dei tempi di reazione ridottissimi, resteranno la minaccia maggiore. 


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