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Trump, Putin e le ambizioni (anti-cinesi) sull’Artico. L’analisi dell’ammiraglio Caffio

Il summit di Anchorage ci ricorda che Usa e Russia, oltre a riproporsi come superpotenze planetarie, sono anche Paesi che si affacciano sul Grande Nord. In teoria c’è rivalità tra i due Paesi, anche per via della presenza delle forze Nato ai confini terrestri e marittimi della Russia. Di fatto, entrambi potrebbero aspirare ad agire nell’Artico con le mani libere dai trattati marittimi, magari cercando di tenere a bada la Cina. La riflessione dell’ammiraglio Fabio Caffio

Il blando interesse degli Stati Uniti per l’Artico è terminato nel 2023 quando è stata proclamato uno spazio di Piattaforma continentale (Pc) estesa dall’Alaska oltre le canoniche 200 miglia nautiche. L’iniziativa è stata presa al di fuori delle procedure Unclos, trattato non ratificato dagli Usa. La nuova area marittima è di importanza geostrategica perché contigua a quella russa e quindi utile alla sorveglianza dell’underwater. Ma notevole è soprattutto il suo valore economico: nei fondali artici abbondano varie risorse minerali pregiate.

Con l’avvento di Trump la spinta verso l’Artico si è ulteriormente rafforzata. È stato varato un programma di costruzione di cutter rompighiaccio della Coast Guard da adibire alla sorveglianza di Zee, Pc e rotte polari. Nel contempo sono state riaffermate le tradizionali posizioni sulla libertà di transito nel Passaggio a Nord-Ovest, controllato dal Canada, e sono state avanzate le note rivendicazioni sulla Groenlandia danese ed i suoi mari artici.

La reazione russa a tali mosse è stata sinora debole, anche se Mosca ha protestato contro la proclamazione della Pc estesa evidenziandone il carattere non conforme all’Unclos. Il fatto è che la Russia ha adottato una analoga iniziativa nel rispetto dell’Unclos, prolungando la sua Pc oltre il Polo, lungo la Dorsale di Lomonosov. In questo modo la sua area marittima è giunta a lambire quelle di Canada e Danimarca, sia pure senza alcun accordo di delimitazione con essi.

Le ambizioni russe sull’Artico sono per il vero antiche. Sin dal tempo degli Zar sono state avanzate teorie sugli spazi marittimi polari come aree sovrane in continuità con le terre emerse. Questa visione imperiale traspare dalle troppe prescrizioni imposte per la navigazione nella lunga Northern sea route (Nsr) — in parte coincidente col Passaggio a Nord-Est — che si snoda attraverso la Zee russa ed oltre. Sinora a non accettarle è stata solo la Francia, mentre la Cina ne è il principale fruitore.

È troppo presto per parlare di un’intesa di fatto russo-statunitense per la spartizione dell’Artico, anche perché la Nato mantiene alta la sua pressione sulle aree marittime di confine con la Russia. Certo è che Mosca potrebbe riconoscere le ambizioni di Washington sul Grande Nord per tenere a bada il suo ingombrante alleato cinese che si autodefinisce Paese artico e che ha voluto partecipare ad esercitazioni navali congiunte nella Zee statunitense prossima all’Alaska. O anche per consolidare la sua presenza nelle Svalbard, mai venuta meno dalla conclusione del Trattato del 1920 che le pone sotto sovranità norvegese. Qualcuno fa anche notare che di recente un autorevole esponente del Parlamento russo ha prospettato la possibilità che Mosca cessi di far parte dell’Unclos per potersi riappropriare di quel 64% degli spazi artici che le competerebbero. Segno, questo, del fatto che Russia e Stati Uniti condividono forse eguali aspirazioni ad avere mani libere dalle restrizioni giuridiche imposte dai trattati internazionali come l’Unclos.


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