Skip to main content

Sicurezza simbolica o tutela reale? Le garanzie a Kyiv sono la chiave del negoziato

L’intesa raggiunta ad Anchorage tra Trump e Putin potrebbe aprire spiragli inediti sulla guerra in Ucraina, ma i contorni delle “garanzie di sicurezza in stile Nato” restano vaghi. Eppure proprio da questi passano il futuro del processo negoziale e delle speranza di pace nell’area

Immediatamente dopo la sua conclusione, il vertice in Alaska a cui hanno preso parte il presidente statunitense Donald Trump e quello russo Vladimir Putin sembrava non aver portato a progressi concreti riguardo alla cessazione delle ostilità nel conflitto in Ucraina. Ma la prospettiva è cambiata radicalmente, dopo che nel pomeriggio di domenica l’inviato speciale della Casa Bianca Steven Witkoff ha dichiarato in un’intervista alla Cnn che i due leader avevano raggiunto un accordo su quelle che lo stesso Witkoff ha definito “garanzie di sicurezza in stile Nato”. Sarebbe la prima volta, dall’inizio della guerra, che il Cremlino apre ad una simile eventualità. E quest’evoluzione potrebbe rappresentare la chiave di volta su cui costruire il futuro dei negoziati.

Tuttavia, la definizione di Witkoff rimane alquanto fumosa, e non è ancora chiaro quali siano esattamente i parametri delle garanzie di sicurezza rispetto alle quali Putin ha dato il suo beneplacito. Una cosa sembra essere certa: “Garanzie di sicurezza in stile Nato” non vuol dire “adesione alla Nato”. Il che rappresenterebbe già una vittoria per Mosca, considerando come l’evitare l’integrazione di Kyiv nella struttura atlantica sia stata una delle ragioni fondamentali dietro al lancio dell’invasione su larga scala nel febbraio del 2022, e a tutt’oggi rimanga uno dei punti su cui il Cremlino si dichiarato irremovibile.

Cosa implicherebbero dunque le “garanzie di sicurezza” nella forma apparentemente accettata ad Anchorage? Le questioni sono molteplici. A partire dall’eventuale presenza di contingenti militari stranieri su suolo ucraino. Mosca sarà disposta ad accettare una forza di peacekeeping, presumibilmente europea, ma forse anche statunitense (d’altronde, Witkoff ha parlato di una disponibilità di Washington a fornire all’Ucraina garanzie in stile Nato all’ucraina, suggerendo un coinvolgimento diretto della Casa Bianca nelle stesse), sul suolo ucraino? La presenza di basi e contingenti Nato in prossimità dei confini della Federazione Russa è sempre stata considerata da Mosca come una minaccia alla propria sicurezza nazionale, motivo per cui è difficile credere che adesso il Cremlino possa accettare uno schieramento en masse di forze occidentali in Ucraina. Un’altra opzione disponibile sarebbe quella del cosiddetto tripwire mechanism, secondo cui sul terreno sarebbe schierato un contingente simbolico di soldati stranieri, militarmente incapace di fermare un’operazione militare (tantomeno di rappresentare una minaccia in senso offensivo), ma il cui coinvolgimento in episodi di violenza sarebbe sufficiente a provocare una reazione da parte degli Stati a cui tali contingenti appartengono.

Un’altra opzione ancora, probabilmente quella che Mosca riterrebbe come la più gradita, sarebbe la totale assenza di forze straniere dal territorio ucraino, che sarebbero legittimate ad entrarvi soltanto in caso di una violazione degli accordi. Questa possibilità potrebbe però essere percepita come “insufficiente” da Kyiv, poiché la lascerebbe piuttosto esposta a possibili blitz nemici, che cercherebbero il fait accomplit. In uno scenario non troppo dissimile da quello ipotizzato negli anni scorsi dagli strateghi occidentali per un’eventuale invasione dei Paesi Baltici. Dove, tra parentesi, fino a poco tempo fa era schierato un contingente Nato piuttosto ridotto, proprio con la funzione di agire da tripwire. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, però, la Nato ha deciso che quell’approccio non sarebbe stato sufficiente a scoraggiare il Cremlino, avviando un processo di rafforzamento della propria presenza militare in loco.

Altra questione ancora è quella della copertura dell’ombrello nucleare Nato. Nel 1994 Kyiv ha firmato il memorandum di Budapest, rinunciando alle proprie testate nucleari di eredità sovietica in ossequio ai principi della non proliferazione; in cambio di questa rinuncia, però, l’Ucraina aveva chiesto delle garanzie di sicurezza sulla propria sovranità e sulla propria integrità territoriale. Gli eventi degli ultimi dieci anni hanno rivelato l’inconsistenza delle suddette garanzie. Inoltre, l’utilizzo russo della retorica nucleare sin dall’inizio dell’invasione su larga scala ha spinto le élites ucraine a porre un notevole grado di attenzione sulla dimensione nucleare. L’adesione alla Nato avrebbe implicato l’estensione dell’ombrello nucleare al territorio ucraino. Non è chiaro, invece, se nelle “garanzie in stile Nato” menzionate da Witkoff rientri anche questa opzione.

Con estrema probabilità, proprio intorno al tema delle garanzie di sicurezza si incentreranno gli incontri diplomatici che si terranno a Washington nelle prossime ore. Specialmente nel format “allargato”: molto probabilmente, Trump ha scelto di incontrare in separata sede il presidente ucraino Volodymyr Zelensky per discutere di altre questioni, come la disponibilità di Kyiv ad accettare compromessi sulla questione territoriale, prima di espandere il dialogo ai partner europei, direttamente coinvolti questione delle garanzie di sicurezza. Questione su cui sarà necessario non solo trovare l’accordo tra Usa ed Europa, ma anche all’interno dell’Europa stessa, come dimostrato dalle parole rivolte dalla premier italiana Giorgia Meloni al presidente francese Emmanuel Macron. “La Russia ha un milione e trecentomila soldati: quanti dovremmo mandarne noi per essere all’altezza del compito”, ha detto la presidente del Consiglio italiana rispondendo alla volontà di Macron di spingere per lo schieramento di contingenti europei sul territorio ucraino. Aggiungendo poi che “se uno dei nostri soldati dovesse morire, faremmo finta di niente o dovremmo reagire? Perché se reagiamo è ovvio che dovrà farlo la Nato. E allora tanto vale attivare subito la clausola”.

Un nodo, quello delle garanzie di sicurezza, che sembra quindi difficile da sciogliere. Ma che, una volta sciolto (se sciolto), aprirà la strada al raggiungimento della fine delle ostilità in Ucraina. E, forse, al raggiungimento di un certo grado di stabilità nella regione.


×

Iscriviti alla newsletter