Il professore Renato Cristin vede nel vertice di Washington il compimento della visione di Giorgia Meloni: l’unità occidentale come unica risposta alla crisi identitaria. Israele e Ucraina modelli di eroismo, con l’Italia punto di equilibrio contro l’asse Russia-Cina-Iran-Nord Corea
Nel punto stampa prima dell’inizio del vertice di Washington con Donald Trump, Volodymyr Zelensky e i principali leader europei, Giorgia Meloni – la prima ad arrivare alla Casa Bianca – ha rimarcato il valore dell’unità occidentale come fondamento della resistenza ucraina e come strumento per costruire la pace. “Dopo tre anni e mezzo in cui la Russia non dava segnali di dialogo, oggi finalmente si aprono spiragli perché sul campo esiste una situazione nuova, frutto del coraggio degli ucraini e del sostegno unito dell’Occidente”, ha detto la premier. L’Italia, ha aggiunto, “c’è come c’è sempre stata”, accanto all’Ucraina e parte attiva nelle proposte di diplomazia e di garanzie di sicurezza ispirate al Trattato di Washington. Un discorso che trascende la contingenza negoziale e assume un significato politico più ampio: l’unità dell’Occidente come condizione per garantire giustizia, sicurezza e prospettive di pace.
Il professore Renato Cristin, docente di Ermeneutica filosofica all’Università di Trieste, già direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Berlino e direttore scientifico della Fondazione Liberal, autore di “I padroni del caos” e “Quadrante Occidentale”, ci guida in un ragionamento sul ruolo che l’Italia può svolgere all’interno delle trasformazioni in atto.
Nel suo “Quadrante Occidentale” si parla della necessità di ricomporre il nome e la cosa “Occidente” per superare la crisi di identità. Quanto accade alla Casa Bianca con i leader europei al fianco di Volodymyr Zelensky e Donald Trump ne è un prototipo?
Poiché la crisi identitaria dell’Occidente non risiede nell’essenza dell’Occidente, ma sorge e si acuisce a partire da alcune sue avventizie deformazioni strutturali e soprattutto funzionali, cioè si sviluppa proprio quando la sua essenza (certamente plurale e tuttavia sufficientemente unitaria) viene colpita e deformata da ideologie che ne manomettono i fondamenti identitari e che tendono a trasformare lo spirito occidentale in qualcos’altro, la soluzione di questa crisi è, almeno in teoria, relativamente semplice: ricostruire – ricomporre appunto – il variegato tessuto originario (l’essenza plurale) su cui l’Occidente si è formato e sviluppato. Trasferendo questa interpretazione sul piano politico, o più precisamente geopolitico, vediamo che le crisi attuali si possono affrontare solo sulla base di questa unità, perché non è una convergenza forzata bensì rappresenta, sul piano politico operativo, l’identità dell’Occidente. Quando l’Occidente smette di essere se stesso, si indebolisce e diventa aggredibile. E la Russia putiniana lo sa molto bene, come lo sapeva la Russia sovietica. Poiché Giorgia Meloni elabora e sostiene da molti anni una teoria politica e culturale centrata sull’identità spirituale dell’Europa e dell’Occidente, e poiché il perno concettuale su cui si è mossa fin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina è l’unità delle nazioni occidentali come unica possibilità per fronteggiare l’aggressività della Russia putiniana, il vertice odierno alla Casa Bianca è, oggettivamente, un successo di Giorgia Meloni. L’Occidente riunito nella Sala Ovale.
La presidente del Consiglio sembra interpretare un compito, difendendo libertà, verità e radici, pur muovendosi in un contesto internazionale frammentato e complesso. Vede in questa postura un tentativo concreto di invertire la crisi dell’unità occidentale che lei descrive?
Il vertice euroatlantico di oggi rappresenta – in forma simbolica ma anche pragmatica – la trasposizione operativa dell’orientamento di fondo che la presidente Meloni sostiene da anni: la ricerca dell’unità dell’Occidente. Missione difficile, ma l’unica via per risolvere i problemi attuali e affrontare quelli futuri. A Meloni va attribuito il merito di aver avuto una visione giusta e lungimirante. È possibile che per cause non ben definite questo progetto non si realizzi subito o che possa incontrare ostacoli imprevisti, ma questa è l’unica strada percorribile. Anche l’ipotesi di ricorrere a formule simili all’Articolo 5 della Nato per soccorrere l’Ucraina in caso di ulteriore invasione russa è un’elaborazione originale di Meloni, ed è la più concreta garanzia di sicurezza all’Ucraina oggi sul tavolo, alla quale va affiancato un rafforzamento dell’esercito ucraino in termini di armamenti e di intelligence.
Lei sottolinea il bisogno di un’alleanza tra liberalismo e conservatorismo. Meloni sembra esercitarla in chiave politica, rafforzando la collocazione euro-atlantica dell’Italia anche quando questa seconda presidenza di Donald Trump sembra mettere in discussione la compattezza dell’Occidente. Questa “fedeltà all’Occidente” può rappresentare un modello politico per altre democrazie europee?
Il liberalconservatorismo è la risposta teorico-pratica alla crisi spirituale dell’Occidente. E Giorgia Meloni lo professa e lo esercita da lungo tempo, applicandolo con coerenza alle svariate contingenze politiche. Per lei la “fedeltà all’Occidente” significa fedeltà ai valori spirituali e ai princìpi liberalconservatori. Certo, le fluttuazioni – talvolta irrazionali – che alcuni leader occidentali imprimono alla geopolitica (e anche alla geoeconomia) mettono a dura prova questo impegno, ma la fedeltà è, per definizione, indefettibile. L’esercizio meloniano di questa fedeltà sarà, almeno così auspichiamo, vincente e convincente, perché per Meloni fedeltà significa anche lealtà, e lealtà significa anche avere il coraggio di criticare, quando occorre, eventuali scelte sbagliate di altri leader occidentali.
Su queste basi, si può arrivare a una rifondazione e a un rafforzamento dell’unità euro-atlantica?
Che la visione meloniana possa influenzare altre nazioni europee è un auspicio ma anche una possibilità concreta, che io vedo profilarsi nella tacita ma evidente assimilazione di alcune posizioni meloniane (su temi scottanti, come per esempio le leggi sull’immigrazione, o su aspetti tecnico-procedurali) da parte delle istituzioni europee, Commissione e Parlamento in particolare. Così si articola e si muove il progetto di riforma meloniana dell’Unione europea: spinta ideale e comprensione della realtà concreta. E così il liberalconservatorismo può affermarsi come modello politico-culturale vincente.
Se Israele è un potenziale modello di nazione per l’Occidente, può esserlo considerato – per lo sforzo contro l’aggressione russa – anche l’Ucraina?
Israele si trova oggi davanti a una prova durissima, non dissimile da quella in cui si era trovato negli anni della sua formazione nazionale e delle guerre arabe. Staccarsi, o anche solo lievemente scostarsi da Israele oggi significherebbe per l’Occidente abbandonare una nazione e un popolo che non solo appartengono all’Occidente, ma che sono anche tra i fondatori dell’Occidente. Pur in una situazione diversa da quella israeliana attuale, l’Ucraina è una nazione europea (e quindi occidentale) che sta lottando con tutte le sue forze per affermare la propria libertà e identità, il proprio diritto all’esistenza nelle forme e nei contenuti che il popolo ucraino voglia darsi, esercitando appunto la sua libertà. L’Ucraina – e Giorgia Meloni lo ha dichiarato e spiegato molte volte – è un esempio di eroismo che deve servire da monito per tutte le altre nazioni occidentali, perché, come dice Meloni, “ha guardato dritto negli occhi il proprio nemico e ha scelto di combattere”, trovando il coraggio di affrontarlo a costi umani, sociali ed economici altissimi. Un esempio che l’Occidente dovrebbe rispettare e dal quale dovrebbe trovare la forza per recuperare energie perdute, energie affievolite con la fine della Guerra fredda ma che oggi, dinanzi alla minaccia della Russia putiniana (che ho definito neosovietica, al punto che si scrive Russia ma si legge URSSIA), l’Europa e l’Occidente devono riattivare, pena una decadenza che colpirà entrambe le sponde dell’Atlantico.
Oggi l’Italia si muove come alleata di Israele e al tempo stesso come punto di equilibrio in Europa e nella Nato. Quanto può contare questa linea italiana per la rinascita dello spirito occidentale che lei propone, soprattutto di fronte all’asse cosiddetto Crink, tra Russia-Cina-Iran-Nord Corea?
L’asse cinese-russo-iraniano (inclusa anche la Corea del Nord) è la versione globale della minaccia locale che la Russia sta lanciando all’Europa, e in quanto tale contiene molte varianti che non permettono un’applicazione geopolitica diretta di quello che chiamerei “schema Meloni”. Tuttavia i princìpi di questo schema possono essere utilizzati anche su questa scala più ampia. Avversari diversi richiedono approcci differenti, come abbiamo visto esemplarmente nei rapporti positivi e fecondi che da presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sviluppato con la Cina e con l’India. Con Meloni, l’Italia si è presentata con la sua propria identità: questa è l’Italia, questo è l’orientamento geopolitico del governo, e da qui trattiamo. Premessa accolta in modo estremamente positivo, in particolare dalla Cina, che apprezza chi le parla con chiarezza, condizione fondamentale per relazioni costruttive.