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Ossessionati dal centro

La vicenda che ha dato vita al voto di fiducia al governo Letta ha fatto riesplodere la questione del Centro in termini forse più psicanalitici che politici.
Da un lato infatti vi è chi non vuole neanche sentir nominare la parola “centro”, quasi che si tratti di una espressione oscena o malavitosa; da un altro lato vi è chi ha persino il sospetto che vi sia una sorta di operazione neocentrista alla quale subdolamente dovrebbero dar vita i non chiariti rapporti tra Letta e Alfano; d’altro lato, ancora, vi è chi finisce con l’identificare il Centro con la Democrazia Cristiana e afferma – quasi orripilato – che vi è persino il rischio di “morire democristiani”.

Si tratta pertanto di una questione forse più psicanalitica che politica, e da questo punto di vista è pertanto necessario occuparsene solo dal punto di vista politico (quello psicanalitico infatti è un profilo che appartiene ad una scienza diversa da quella politica in senso stretto).
Occorre pertanto che si cerchi di capire storicamente cosa ha rappresentato il Centro nelle vicende italiane a partire dall’Unità in poi. Bisogna infatti evitare l’errore – che purtroppo si commette spesso – di confondere “centro” con “centralità”.
La centralità infatti è una dimensione dell’agire politico che non richiede in nessun modo l’esistenza di un partito di centro, perché si tratta di una vicenda che tende a conquistare sociologicamente un largo consenso popolare anche se si parte da una posizione astrattamente di destra o di sinistra.

Vi sono stati infatti nella nostra storia centralità politiche e sociali conquistate da chi non si definiva in alcun modo “di centro”, così come nella cosiddetta Prima repubblica vi è stata una centralità politico-sociale di un partito che si definiva “partito di centro che guarda a sinistra”.
Occorre pertanto saper distinguere storicamente e politicamente il significato della parola “centro” dalla concreta esperienza della “centralità”, perché questa in termini elettorali significa conquista di un consenso politico-elettorale molto largo anche senza premi di maggioranza. I quali premi non sono per niente idonei a garantire la centralità, e sarebbe ovviamente assurdo immaginare premi di maggioranza attribuiti soltanto a partiti che si definiscono di centro.
Chi pertanto appare ossessionato dal Centro è bene che sappia dimostrare che nella storia italiana la centralità può essere conquistata anche muovendo da posizioni di destra o di sinistra. Nella cosiddetta Prima Repubblica la centralità è stata conquistata e vissuta da un partito di centro, laddove nella cosiddetta Seconda Repubblica essa è stata prevalentemente conquistata nel segno del primato dell’apparire piuttosto che dell’essere.

E non si tratta di questioni che riguardano soltanto la destra berlusconiana. Si tratta pertanto di saper distinguere la centralità politico-sociale (che può certamente essere caratterizzata da una rilevante stabilità politica) dalla stabilità del singolo Presidente del Consiglio che dovrebbe essere la caratteristica imprescindibile di una nuova legge elettorale.

Vi è infatti chi vede il premio di maggioranza per dar vita ad una sorta di “Sindaco d’Italia”, mentre lo stesso Enrico Letta ha recentemente ricordato che vi è stato un lungo tratto della Prima Repubblica (1948-1968) caratterizzato da una stabilità politico-sociale che è stata capace di andare molto al di là della stessa sorte di questo o quel Presidente del Consiglio.
Ma proprio queste affermazioni opportune di Letta potrebbero aver scatenato i recenti ascessi di ossessione anti-centrista.



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