Nel sempre più complesso scacchiere globale, Tsmc si muove con pragmatismo, bilanciando resilienza, innovazione e diplomazia commerciale per restare il perno della rivoluzione tecnologica che plasma il nostro futuro
Tsmc, il colosso taiwanese dei semiconduttori, sta ridefinendo la propria strategia produttiva per affrontare un contesto geopolitico sempre più teso. L’azienda ha deciso di eliminare progressivamente le attrezzature di origine cinese dalle sue fabbriche più avanzate, quelle dedicate alla produzione di chip a 2 nanometri, la frontiera tecnologica più sofisticata al mondo. La produzione di massa partirà entro il 2025 a Hsinchu e Kaohsiung, mentre un terzo impianto è in costruzione in Arizona, un passo strategico che riflette l’importanza crescente degli Stati Uniti nella filiera globale dei semiconduttori. Questa mossa non è solo tecnica, ma risponde a un’esigenza di sicurezza economica in un’epoca di rivalità tecnologica tra superpotenze.
La decisione di Tsmc è infatti influenzata dalle pressioni di Washington, che cerca di ridurre la dipendenza da tecnologie considerate a rischio. La proposta del Chip Equip Act, promossa dal senatore Mark Kelly, intende per esempio vietare ai produttori di chip che ricevono finanziamenti o incentivi fiscali americani l’uso di attrezzature da “entità straniere preoccupanti”. Tra queste spiccano aziende cinesi come Amec, specializzata in strumenti di etching, e Mattson Technology, acquisita nel 2016 da un gruppo di Pechino. Il timore di restrizioni che potrebbero paralizzare la produzione starebbe spingendo Tsmc a un cambio di rotta radicale, per salvaguardare la sua posizione di leader globale in un mercato dove ogni interruzione può costare miliardi.
L’operazione dei taiwanesi va oltre le attrezzature. L’azienda sta conducendo un’analisi approfondita della propria filiera, dai materiali grezzi alle sostanze chimiche, per ridurre la dipendenza da fornitori cinesi nelle operazioni a Taiwan e Stati Uniti. Al contempo, in Cina, Tsmc rafforza i legami con fornitori locali per allinearsi alle priorità del governo di Pechino, che spinge per un’industria tecnologica autonoma. Un anno fa, Tsmc aveva avviato la sostituzione delle attrezzature cinesi per i chip a 3 nm, ma il passaggio completo ai 2 nm rappresenta una sfida più complessa: cambiare fornitori, anche per fasi non critiche, richiede mesi di test e comporta rischi significativi per la qualità e la resa produttiva. È un equilibrio delicato tra innovazione e stabilità.
L’espansione in Arizona, dove Tsmc punta a concentrare entro pochi anni il 30% della produzione di chip a 2 nm o superiori, è un tassello cruciale di questa strategia. Gli Stati Uniti stanno investendo pesantemente per ridurre la loro vulnerabilità nella filiera dei semiconduttori, mentre la Cina risponde potenziando i propri produttori. Naura, ad esempio, si è affermata come sesto player globale nel settore delle attrezzature, ma la mancanza di alternative competitive agli strumenti litografici dell’olandese Asml — anch’essa in una fase di de-risking — lascia Pechino in una posizione di svantaggio.