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Mai più la guerra. L’eredità spirituale e letteraria di Franz Werfel

Il 26 agosto 1945 ci lasciava, a Los Angeles, in fuga dal nazismo, Franz Werfel, amico di Franz Kafka. Poeta, drammaturgo, autore di racconti, romanziere, dall’espressionismo al nuovo realismo anni Venti, un autore “dal raffinato talento narrativo” (Antonia Arslan). Denunciò il genocidio armeno. A lui si deve, tra l’altro, il soggetto del subito celebre film “The Song of Bernadette” (Bernadette, 1943) di Henry King, con Jennifer Jones (premio Oscar). Un elzeviro di Eusebio Ciccotti

Se c’è un autore del Novecento che abbia saputo raggiungere livelli notevoli di finezza estetica nei diversi generi letterari, ossia poesia, testo teatrale, racconto, romanzo e saggistica, da paragonare al nostro Luigi Pirandello, è sicuramente Franz Werfel (Praga,1890 – Los Angeles, 1945). Dalla scrittura rapida, curata e prolifica, mostra sin da giovane, a 28 anni, di possedere un particolare talento per la poesia tanto che la lirica Leser in der Nacht (Al lettore nella notte), pubblicata a Berlino grazie all’interessamento di Max Brod (suo amico, e anche amico di Franz Kafka), darà «nel 1910, il via all’espressionismo lirico» (Massimiliano De Villa).

L’esordio letterario tra università e lavoro d’ufficio 

Figlio della borghesia ebraica praghese (suo padre Rudolf è un fabbricante di guanti), con un ampio appartamento al centro della città, in Marienstrasse (oggi Havlíčkova), esposto a est, tra la Torre delle polveri e la stazione ferroviaria, studia presso un prestigioso liceo cattolico frequentato dalla borghesia sia ebrea che cattolica. Successivamente, su insistenza del padre, segue i corsi di giurisprudenza nella Facoltà praghese di lingua tedesca. Frequenta anche, di soppiatto, corsi di filosofia, e inizia un vorace personale studio della letteratura. Dopo alcuni semestri il padre lo spedisce per alcuni mesi ad Amburgo, alfine di formarlo in una professione nel settore giuridico-commerciale. Una esperienza non entusiasmante interrotta grazie al servizio militare. Tornato a Praga frequenta il caffè Arco, luogo degli intellettuali ebrei praghesi di lingua tedesca (ma tutti bilingui, parlanti anche il ceco), che scelgono come lingua letteraria il tedesco. Vi sono, tra gli altri, Max Brod, Oskar Baum, Johannes Urzidil, Ernst Deutsch, Rudolf Fuchs. Per la poesia, tutti guardano, tra l’altro, a Rainer Maria Rilke, di 15 anni più grande di loro, cresciuto a Praga ma culturalmente nomade tra Francia, Italia, Svizzera, Germania, Austro-Ungheria.

Nel 1911 esce la prima raccolta di poesie, Weltfreund (L’amico del mondo), presso un editore berlinese dal grande fiuto editoriale, Axel Junker (aveva pubblicato le prime silloge di Rainer Maria Rilke). Lo stile poggia sul verso lungo, tipicamente espressionista, dal ritmo «lento e da un languore tardo-impressionistico in cui la critica ha ravviato la vicinanza con il Walt Whitman di Foglie d’erba» (De Villa). La silloge, per il suo tema umanitario, per “l’amore fraterno” espresso senza timori, raccoglie un certo successo presso i lettori. Il 5 ottobre del 1913, durante una serata teatrale nel teatro di Hellerau (Dresda) conosce Rilke: questi gli confessa che apprezza molto la sua poesia: per il giovane Franz è un grande incoraggiamento.

Intanto, nel biennio 1912-1914, Werfel si è trasferito a Lipsia, assunto come redattore lettore della casa editrice Kurt Wolff-Verlag. Intensifica la sua attività letteraria dando alle stampe altre raccolte di liriche (Die Versuchung /La tentazione; Wir sind /Noi siamo), in cui l’asprezza espressionista si stempera.

I primi testi teatrali e di narrativa. L’amore per Alma Schindler

Nel 1915 arriva l’esordio nella scrittura teatrale, proponendo una rilettura delle Troiane di Euripide (Die Troerinnen), subito in scena a Berlino nel 1916, non immune da un tono apocalittico biblico visto il tempo di guerra. Nello stesso periodo si registra il suo esordio nella narrativa con il racconto Cabrinowitsch, dedicato a uno degli attentatori dell’Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando.

Pur sotto le armi dal 1914, continua febbrilmente a scrivere, e il suo iniziale interventismo svanisce di fronte all’assurdità del conflitto. Sino, nel 1917, a farsi assegnare all’ufficio stampa-propaganda dell’esercito, quartier generale, in Vienna.

Sempre a Vienna, nel 1921, va in scena Bocksgesang (Canto del capro, 1921), in cui si narra di una creatura deforme che si unisce a una banda di ribelli. La pièce, successivamente tradotta in inglese, nel 1926 andrà in scena a New York, accolta positivamente da critica e pubblico. Tanto che Eugene O’Neill la recensisce entusiasticamente sul «New York Times». Il nome di Franz Werfel inizia ad essere conosciuto al di fuori dell’area di lingua tedesca.

Dal 1918 al 1925 Werfel vive a Vienna. Nel 1917, mentre lavorava nel servizio propaganda a Vienna, aveva conosciuto Alma Schindler, vedova di Gustav Mahler. Donna di fine cultura, affascinante, che tiene un suo salotto letterario molto frequentato. In quel periodo è sposata in seconde nozze con il noto architetto Walter Gropius. Tra i due, Franz e Alma, nonostante questa sia più grande di undici anni, è colpo di fulmine. Tanto che nel 1918, ella, ancora sposata con Gropius, dal quale ha avuto la figlia Manon, ha un figlio da Werfel, che «battezzato con rito cattolico romano, morirà a neppure un anno» (De Villa).

La pièce “messicana” Juarez und Maximilian: un inno ai valori etici

Un successo ampio di critica e pubblico riceve la pièce Juarez und Maximilian. Dramatische Historie (Juarez e Massimiliano, Storia drammatica, 1924). La vicenda è quella dell’Arciduca Massimiliano d’Asburgo, inviato in Messico, con l’inganno e usato, da Napoleone III, nel tentativo di impedire la nascita di un paese democratico ad opera del legittimo presidente Benito Juárez, acclamato dal popolo messicano.

Il messaggio è ancora incentrato sul rispetto umano, sulla chiarezza etica, sull’onestà, sull’amore cristiano, tramite la figura dell’Arciduca che non si sottrarrà alla pena di morte, assumendosi la responsabilità dei contadini uccisi dalle truppe francesi, che poi soccomberanno, per quanto egli non sia responsabile di una guerra decisa a Parigi.

La pièce, poggiante, come sempre per i lavori werfeliani di taglio storico, ma con rimandi all’epoca attuale, su uno studio attento dei documenti, sceglie un taglio realistico, segnando l’abbandono della stilistica espressionista, per quanto, come ricordato, meno aggressiva e cupa di quella dei suoi colleghi espressionisti.

I grandi romanzi

Quattro sono i romanzi che faranno conoscere Werfel al di fuori dell’area di lingua tedesca: Verdi. Roman der Oper (Verdi. Il romanzo dell’opera, 1924); Der Abituriententag. Die Geschichte einer Jugendschuld (Anniversario dell’esame di maturità, 1928); Die vierzig Tage des Musa Dagh (I quaranta giorni del Mussa Dagh, 1933) e Das Lied von Bernadette (La canzone di Bernadette, 1941). Il Verdi e, soprattutto, Bernadette lo renderanno famoso.

Il Verdi, unico libro non censurato in Germania dal regime nazista, dopo il 1933 (pare che Kafka lo avesse sul comodino prima di morire), è un romanzo storico biografico, con al centro il tema evangelico di amare il nemico (Verdi/Wagner), risolto sul registro realistico,

in sintonia con la corrente della nuova oggettività che si sarebbe affermata nel biennio 1925-27, nell’arte figurativa e, soprattutto, nel cinema. Qui con capolavori quali: Der letze Mann (L’ultima risata, 1924, F. W. Murnau), Berlin. Die Symphonie der Großstadt (Berlino. Sinfonia di una grande città, 1927, Walter Ruttmann), Mutter Krausens Fahrt ins Glück (Il viaggio di mamma Krause verso la felicità, 1929, Phil Jutzi), Westfront 1918 (Westfront, 1930, G.W. Pabst), Menschen am Sonntag (Persone di domenica, 1930, Robert Siodmak e Edgar G. Ulmer), M (M- Il mostro di Düsseldorf, 1931, Fritz Lang).

L’Anniversario dell’esame di maturità (tradotto in Italia per la prima volta nel 1937 da Mondadori: ora per i tipi di Guanda, 1988, trad. Cristina Baseggio) è un romanzo da rivalutare. Scritto in terza persona, ci racconta di una festa organizzata da uno degli ex allievi, ora professore, tal Burda, «dagli occhi miti, che aveva cambiato inavvertitamente il banco con la cattedra» e dai vari componenti, tra cui un Consigliere di corte d’Appello, Ernst Sebastian (personaggio centrale), meticoloso nel lavoro ma alquanto umano e delicato (siamo sempre nella visione etica della fratellanza) nel trattare con gli imputati. Alla festa tutti attendono il compagno, ora artista, Franz Adler, che non si presenterà: era l’allievo più creativo e brillante della classe. La sua assenza attiverà un fatto rimosso nel passato di Ernst, legato a un senso di colpa.

Pochi mesi dopo la elezione di Adolf Hitler al potere esce, nel novembre 1933, I quaranta giorni del Mussa Dagh. Romanzo corposo che tratta del genocidio degli armeni del 1915 ad opera dei Giovani Turchi. «Quest’opera fu abbozzata nel marzo dell’anno 1929 durante un soggiorno a Damasco. La visione pietosa dei fanciulli profughi, mutilati e affamati, che lavoravano in una fabbrica di tappeti, diede la spinta decisiva a strappare dal regno dei morti del passato l’inconcepibile destino del popolo armeno» (nota prefativa dell’autore, I quaranta giorni del Mussa Dagh, Oscar Mondadori, 2026, trad. Cristina Baseggio ed Elena Broseghini, p. 3). Il romanzo, chiosa la scrittrice Antonia Arslan, mostra “[…] una particolare abilità […] che mi colpì fin dalla prima lettura [Arslan aveva 17 anni, nrd.], [ossia] la sapienza nella costruzione dei personaggi, anche quelli negativi, e soprattutto quelli di parte armena» (p. VII). Una armonia stilistica che ha consegnato al mondo «la prima grande epopea che ha illuminato la storia del genocidio armeno» (A. Arslan, in F. Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, cit.).

Quando Werfel termina il romanzo, nel 1932, il nazismo non è ancora al potere. A guerra finita, quel romanzo, iniziato alla fine degli anni Venti, assume, letterariamente, le caratteristiche, seppur in senso analogico, della letteratura di anticipazione: ossia il genocidio armeno come “profezia” del genocidio degli ebrei, degli zigani; della eliminazione dei disabili, degli omossessuali, degli oppositori politici, dei sacerdoti; dei massacri operati nei campi di concentramento o nelle fucilazioni in strada, nelle campagne, tra i monti, ad opera dei nazisti.

La fuga verso l’America

Nel 1940, Franz e Alma, già sposi dal 1920, sono riparati in Francia. «Negli ultimi giorni del giugno 1940, dopo il crollo della Francia, costretti a fuggire da dove abitavamo, ci avviammo al Sud. […] Ma tutti i consoli unanimi ci rifiutarono i visti necessari […] e avendo le truppe tedesche occupato la città di confine di Hendaye, non ci rimase che fuggire verso l’interno del paese. […] Milioni di creature travolte in questa strana migrazione di popoli, vagavano per le strade maestre e intasavano città e villaggi: francesi, belgi, olandesi, polacchi, cechi, austriaci, tedeschi esiliati e, in mezzo a loro, i soldati dell’armata battuta. […] Una famiglia di Pau ci disse che Lourdes era l’unico posto dove qualche beniamino della Fortuna forse poteva trovare posto. […] Obbedimmo e trovammo finalmente asilo. In questo modo la Providenza mi condusse a Lourdes, della cui storia prodigiosa non avevo fino allora la più superficiale nozione. […] Un giorno tribolato come ero, feci un voto. Se fossi uscito da quella situazione disperata e avessi raggiunto la costa americana […] avrei prima di ogni altro lavoro cantato la canzone di Bernadette». (Franz Werfel, Il canto di Bernadette, Gallucci, 2011, trad. Remo Costanzi, pp. 3-4).

I Werfel, insieme a Golo Mann (terzo figlio di Thomas Mann), attraverseranno a piedi i Pirenei, poi la Spagna, con mezzi di fortuna, sino al Portogallo, dove riusciranno ad imbarcarsi sul piroscafo Nea Hellas, raggiungendo gli Stati Uniti il 13 ottobre (anniversario della ultima apparizione di Fatima) del 1940.

Franz Werfel tra letteratura e cinema

Nel biennio 1912-14 in cui Werfel lavora a Lipsia come redattore editoriale, vede passare sotto i suoi occhi un libro che segna un pilastro nei rapporti tra scrittura letteraria e scrittura cinematografica: Das Kinobuch (1914): un volume di racconti “per il cinema”, a cura di Kurt Pinthus. Tutti i suoi amici, partendo da Max Brod, rispondono all’invito di Kurt Pinthus, inviando un racconto-scenario da offrire ai registi e produttori cinematografici, vista la crisi dei soggetti nei primi anni Dieci. Curiosamente, Franz Werfel non collabora, preso, probabilmente, in quel periodo, dalla scrittura poetica e teatrale; ma il Kinobuch non sfuggì alla sua curiosità di lettore onnivoro.

Werfel, come Kafka, Brod, Otto Pick, František Langer, frequentava le sale cinematografiche di Praga, come poi a Lipsia e a Vienna. La sua scrittura, a ben osservare, mostra un certo senso della regia e del montaggio. tipica di un lettore attento al racconto da cinema. Del resto, Antonia Arslan lo sottolinea a proposito di I quaranta giorni del Mussa Dagh (« […] la sapienza nella costruzione dei personaggi anche quelli negativi […]». Nelle prime pagine di Anniversario dell’esame di maturità, la “penna-macchina da presa” di Werfel, nell’ufficio del Consigliere Sebastian, inquadra il giudice e l’imputato in un montaggio alternato da diversi punti di vista. Per tacere della sorprendente corsa di Lepsius (siamo al centrale capitolo V di I quaranta giorni del Mussa Dagh) per raggiungere, in tempo, il palazzo governativo di Ervin Pascià, presso cui ha un decisivo appuntamento: deve cercare di bloccare lo sterminio degli armeni a opera dell’esercito turco. Ha chiesto udienza al comandante in capo, appunto Ervin Pascià. Tardare di cinque minuti significa vanificare mesi di tessitura diplomatica. Ecco come il prete protestante Lepsius, si precipiti tra carrozze prese al volo, barchette purtroppo lente, corsa a piedi tra le vie di Istanbul: una sequenza narrativa da action movie che curiosamente anticipa quella del protagonista nel mercato di Marrakech, in L’uomo che sapeva troppo (1956) di A. Hitchcock.

Per questa abilità di intreccio e azione, di “dirigere” personaggi diversi, presente anche nelle pièce più riuscite come Juarez und Maximillian che Hollywood, nel 1939, traspone parte del testo teatrale, adattato dall’abile John Huston (qui sceneggiatore), per il film Juárez (1939, regia di William Dieterle). Nella scena finale, l’intuizione di Huston è in sintonia con il sentire evangelico di Werfel: l’ex contadino, poi avvocato e infine Presidente Juárez (aveva studiato da prete scegliendo poi di non diventarlo), si reca in chiesa per salutare la salma dell’Arciduca Maximillian: «Ti chiedo perdono».

Segue molto da vicino il testo letterario The Song of Bernadette (Il canto di Bernadette) il regista Henry King nel film omonimo The Song of Bernadette (1943) con a protagonista Jennifer Jones (Oscar migliore attrice). Un film ancora oggi molto visto, soprattutto programmato da diverse televisioni in tutto il mondo, l’11 febbraio, anniversario della prima apparizione di Lourdes.

Il lascito werfeliano, tra fede e impegno etico

Nella parte finale della sua prefazione (1941) al romanzo dedicato a Bernadette, emerge la limpida visione etica e religiosa dello scrittore: «Il Canto di Bernadette è un romanzo ma non è un’opera di fantasia. […] tutti gli avvenimenti notevoli che formano il contenuto del libro sono accaduti. […] Ho osato raccontare la canzone di Bernadette, io che non sono cattolico ma ebreo. […] Sin dal giorno in cui scrissi i miei primi versi, giurai a me stesso che avrei reso onore sempre e dovunque, attraverso i miei scritti, al segreto divino e alla santità umana: nonostante che l’epoca nostra, con scherno, ferocia e indifferenza, rinneghi questi valori supremi della nostra vita. Franz Werfel, Los Angeles, maggio 1941».

Werfel non si battezzerà ma si può affermare che abbia sempre respirato, sin dalla sua infanzia, il messaggio di Cristo. Fino a ricorrere al termine «Provvidenza» nella presentazione di The Song of Bernadette («In questo modo la Provvidenza ci condusse a Lourdes […]». Una figura centrale nella formazione psicologica e di fede del piccolo Franz fu la bambinaia (la “tata”), boema, Bábi (cui dedicherà il romanzo Barbara oder die Frömmigkeit (Barbara ovvero la devozione, 1929). Pochi sanno che la donna, con dolcezza e delicatezza, gli parlava di quel Gesù bambino che era presente in tutte le chiese di Praga, particolarmente nella chiesa a lui dedicata nel quartiere di Malá Strana. Bábi, insieme al piccolo, frequentava la più vicina chiesa di Svatého Jindřicha (San Enrico). Il parroco, Janko, era un buon amico di Rudolf Werfel, spesso invitato a pranzo dai Werfel.

Grazie a un “disegno” celeste, quel seme cattolico seminato nell’infanzia genererà una pianticella di fede autentica, sulle montagne dei Pirenei, decenni dopo: l’ebreo Franz, nella sua fuga verso la vita, “incontrò” la Madonna dove era apparsa nel 1858.

La morte.

L’uscita di The Song of Bernadette nel 1943, in pieno conflitto mondiale, dava coraggio e fiducia a credenti e non credenti in tutto il mondo. I coniugi Werfel, nonostante la guerra continuasse in Europa e diversi amici, conoscenti e parenti perdevano la vita, poterono tirare un relativo sospiro di sollievo a Beverly Hills.

Dal 1942 (anno in cui riceve la laurea honoris causa dalla Università della California di Los Angeles) al 1945, è un periodo di intenso lavoro, come sempre, per Franz: attraverso scritti letterari e conferenze per la pace e il rispetto tra gli uomini.

Il 26 agosto ha appena terminato di correggere le bozze di un suo volume di poesie, quando arriva il terzo e fatale infarto. Al capezzale la amata Alma e l’amico scrittore e sceneggiatore Friedrich Torberg.


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