Gli Houthi hanno intensificato gli attacchi contro Israele con missili e droni, sostenuti dall’Iran e non fermati dalle rappresaglie occidentali. Un’analisi Stimson rivela il ruolo crescente della Cina, che fornisce tecnologie dual-use ai ribelli per rafforzare la propria influenza e indebolire gli Stati Uniti nell’Indo-Mediterraneo. Dallo Yemen si è creata una policrisi
Gli Houthi hanno di nuovo intensificato gli attacchi contro Israele, riaprendo il fronte meridionale – dallo Yemen – della guerra che da oltre due anni circonda lo stato ebraico. Domenica il lancio di un sistema a grappolo, caduto in territorio israeliano, ha mostrato i limiti dei sistemi difensivi di cui dispone Tel Aviv, nonostante lo scudo Iron Dome e il supporto americano con il Thaad (uno dei più tecnologici sistemi terra-aria a disposizione). A differenza di Hezbollah e delle milizie sciite irachene, i ribelli del nord dello Yemen non hanno ridotto la pressione: oltre sessanta episodi dall’inizio di marzo, tra missili e droni kamikaze, hanno mantenuto costante il livello di allarme per il governo di Benjamin Netanyahu.
Il movimento beneficia di forniture iraniane e di un arsenale in crescita. Le operazioni militari americane hanno colpito basi e depositi, ma gli Houthi hanno diversificato logistica e trasporto, usando anche piccole imbarcazioni. Gli attacchi aerei statunitensi – avvenuti sotto due diverse missioni, Poseidon Archer con l’amministrazione Biden e Rough Rider con Donald Trump – non hanno imposto deterrenza. Israele continua con attacchi mirati: colpisce depositi di carburante e magazzini in cui dovrebbero essere stoccati armamenti, prende di mira i vertici militari, come il generale Mohammad al-Ghamari, ma pare lontano ancora l’obiettivo di neutralizzare gli Houthi.
Che a loro a volta prendono vento da queste operazioni: la propaganda accompagna le loro offensive militari, presentando gli attacchi come parte di una campagna di solidarietà con Gaza e come dimostrazione di resistenza a lungo termine. Dall’altro lato, subire le operazioni di Usa (e Regno Unito) e Israele pare un vessillo, galloni da applicare nella mimetica dell’Asse della Resistenza – l’insieme di milizie filo-iraniane che popolare il Medio Oriente. Da questo nascono anche nuove motivazioni per chi vuole arruolarsi, proseliti che vedono negli Houthi la milizia forte del momento con cui portare avanti i desiderata fanatici antisemiti.
A questa dinamica regionale si aggiunge un elemento esterno. Un’analisi dello Stimson Center segnala che la Cina ha fornito agli Houthi tecnologie dual-use, dai sistemi satellitari ai componenti per droni. Obiettivo: consolidare l’influenza nel Mar Rosso e ridurre la credibilità americana come garante della sicurezza marittima. La mossa si lega a interessi economici diretti: oltre il 60% dei traffici tra Cina ed Europa passa da Suez. Mentre il volume complessivo del transito nel Mar Rosso è crollato (-85%) e quello a Suez si è ridotto del 66%, le navi cinesi hanno aumentato il loro tonnellaggio.
Pechino mantiene un profilo ambiguo: non condanna i ribelli, ma schiera unità navali nella regione, presentandosi come attore responsabile. Intanto Washington ha sanzionato società cinesi come la Chang Guang Satellite Technology Company, accusata di fornire assistenza agli Houthi. La resilienza del movimento yemenita si spiega così con un doppio sostegno: l’arsenale iraniano e il supporto tecnologico cinese. Due variabili che trasformano la milizia in uno strumento di pressione più ampio, capace di connettere le crisi mediorientali con le competizioni globali.
Se il sostegno destabilizzante cinese si unisce alle iniziative del gruppo yemenita, già sostenuto militarmente dagli Houthi, allora la dinamica multilivello della crisi prodotta dagli Houthi diventa più evidente. Da considerare che anche la Russia è stata indicata come attiva nel fornire assistenza all’organizzazione – con obiettivi simili a quelli cinesi. Il quadro di poli-crisi è così disegnato: nella destabilizzazione prodotta dagli Houthi lungo l’Indo-Mediterraneo si incastrano i livelli locale, regionale e internazionale, coinvolgendo sia la sicurezza che la geoeconomia delle rotte Europa-Asia, impegnando attori globali come Usa e Cina.