Dopo anni di boom, grazie al dominio quasi assoluto del mercato dell’energia solare, ora i produttori del Dragone scontano le prime, importanti, perdite. Colpa dell’offerta superiore alla domanda che ha abbattuto i prezzi dei pannelli. E anche all’estero Pechino perde appeal
Nelle settimane in cui l’Europa, finalmente, ha aperto gli occhi sulle forniture cinesi di pannelli solari, grazie alla prima, vera, barricata alzata dall’Italia, il più grande mercato fotovoltaico al mondo va incontro a una inaspettata crisi. Oggi la Cina vende pannelli e componenti per il solare a tutto il mondo. La sola Europa, tanto per fare un esempio, ne è dipendente in misura del 70%. Vale a dire che sette pannelli su dieci sono o fabbricati in Cina o nel Vecchio continente ma con componenti prodotti nel Dragone. Adesso però è successo qualcosa.
Dopo anni di utili da record, l’industria dei pannelli fotovoltaici della Cina si ritrova improvvisamente in profondo rosso. Nel 2022 e nel 2023 il settore macinava profitti da record, ma nel primo semestre di quest’anno il fatturato è crollato del 23% e ben sei dei maggiori produttori hanno visto le perdite raddoppiare a 20,2 miliardi di yuan, circa 2,8 miliardi di dollari. Secondo Goldman Sachs il ritmo di produzione degli impianti è stato già tagliato al 54%, ma questo non basta a fermare l’emorragia. “La situazione è peggiorata drammaticamente. Non potevo crederci, quanto velocemente si è deteriorata”, ha spiegato Alicia Garcia-Herrero, capo economista Asia-Pacifico di Natixis. “Non so davvero come queste aziende sopravviveranno”.
Che cosa è successo? Molto semplicemente, è stata infranta la più banale delle leggi dell’economia: l’offerta ha superato la domanda e i prezzi sono crollati, erodendo i margini delle aziende. Lo scorso anno, infatti, la Cina ha prodotto pannelli fotovoltaici per l’equivalente di 588 GigaWatt, secondo i dati di Natixis, ben oltre la somma della sua domanda interna, pari a 277 GW e della domanda estera, di 174 GW. Dunque, il costo all’utente di ogni singolo pannello si è vertiginosamente ridotto, provocando le perdite in questione. Ora, che la Cina, sia afflitta da tempo da overcapacity (produce più di quanto il mercato interno riesca ad assorbire) è noto. Ma la notizia è forse un’altra. Come mai all’estero (Pechino domina il 90% del mercato globale del fotovoltaico) hanno comprato meno pannelli? Qualcuno ha forse capito che di certa manifattura cinese si può fare a meno?
Prematuro, per il momento, dare una risposta. Di sicuro a Pechino sono preoccupati. E nemmeno poco. Le crescenti perdite dei colossi del fotovoltaico stanno creando allarme in un contesto macroeconomico generale già ritenuto deflazionistico. E il governo sta intervenendo, pressando le aziende, formalmente a controllo privato ma spesso legate alle autorità locali, per chiudere gli impianti fuori mercato e porre rimedio a un sempre più scomodo eccesso di capacità produttiva. Per questo a inizio luglio i dirigenti di 14 delle maggiori società produttrici cinesi sono stati convocati dal ministro dell’Industria fresco di nomina, Li Lecheng che li ha esortati a intervenire in maniera risoluta per mettere fine alla corsa al ribasso sui prezzi e per velocizzare la chiusura di impianti ritenuti fuori mercato. Fine del mito fotovoltaico cinese?