L’amministrazione Trump ha aperto a una nuova stagione della collaborazione tra le Big Tech della Silicon Valley e il mondo della difesa. Se una volta l’apporto di queste realtà era discreto (se non proprio taciuto), ora, con l’istituzione di un’unità dedicata, alcuni esponenti di queste aziende sono entrati direttamente a far parte dei ranghi dell’US Army. L’obiettivo? Premere l’acceleratore sull’innovazione per continuare a garantire la superiorità tecnologica degli Stati Uniti
Che la supremazia strategica sia una diretta conseguenza di quella tecnologica è una costante della storia militare. Dall’invenzione della ruota all’avvento dell’intelligenza artificiale, la componente tecnologica ha sempre rivestito un ruolo di primo piano nel determinare gli equilibri bellici. Questo Donald Trump sembra averlo molto chiaro ed è per questo che, sin dal suo insediamento, sta rafforzando i legami e le sinergie tra il mondo delle Big Tech e il Pentagono.
In una cerimonia tenutasi lo scorso giugno, quattro esponenti di quattro colossi tecnologici americani hanno ufficialmente ricevuto il grado di tenente colonnello della Riserva dell’US Army. Andrew Bosworth (Meta), Shyam Sankar (Palantir), Kevin Weil (OpenAI) e Bob McGrew (già in OpenAI e oggi in un laboratorio di ricerca a parte) sono infatti entrati a far parte dell’unità Detachment 201, altresì nota come Executive innovation corps. L’unità, istituita per l’occasione, mira a colmare il divario tra l’innovazione tecnologica commerciale e le esigenze operative del Pentagono, inquadrando queste figure con competenze specialistiche come profili ibridi civili-militari. Ai nuovi ufficiali sarà infatti consentito di mantenere i propri incarichi civili, servendo al contempo come consulenti direttamente inquadrati nell’organigramma della Difesa Usa.
L’ecosistema Pentagono-Big Tech
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha sempre seguito con attenzione gli sviluppi tecnologici, collaborando direttamente con aziende, università e centri di ricerca per investire su ogni tipo di soluzione che potesse rivelarsi utile per mantenere la supremazia tecnologica e militare dell’Occidente. Tuttavia, gli ultimi anni hanno visto un’accelerazione senza precedenti di questo processo. Le aziende tecnologiche ora non forniscono più solo servizi informatici o software gestionali, ma collaborano direttamente a progetti che si integrano con sistemi d’arma e programmi operativi del Pentagono. Palantir, ad esempio, è fornitore del sistema Titan (Tactical intelligence targeting access node), composto da stazioni mobili che raccolgono e analizzano dati provenienti da satelliti e sensori aerei, restituendo informazioni in tempo reale ai comandi sul campo per migliorare la precisione e la rapidità nelle operazioni. OpenAI sta sperimentando strumenti di intelligenza artificiale destinati a supportare le decisioni operative, la pianificazione logistica e la difesa cibernetica, testando applicazioni in grado di velocizzare processi tradizionalmente lenti e complessi. Meta collabora con Anduril allo sviluppo di dispositivi di realtà aumentata per l’addestramento dei soldati, mentre Skydio fornisce droni autonomi progettati per missioni di ricognizione a corto raggio. Non sono solo queste quattro aziende a dialogare con il Pentagono. Il Dipartimento della Difesa mantiene rapporti con una vasta pletora di aziende, tra cui Amazon Web Services, Microsoft e Google, che forniscono infrastrutture cloud sicure nell’ambito del programma Jwcc (Joint warfighting cloud capability), mentre Maxar e Planet, specializzate in intelligence satellitare, forniscono dati geospaziali ad alta risoluzione utilizzati. Startup come Shield AI e Anduril sviluppano sistemi autonomi e piattaforme di difesa attiva, integrando capacità innovative a supporto di piattaforme già in uso o in fase di prototipazione.
La Silicon Valley in uniforme
Per molto tempo, a causa delle implicazioni morali e di marketing, le grandi firme tecnologiche Usa si sono tenute ben distanti dal perimetro della Difesa. Il discorso di insediamento di Trump, che ha visto la partecipazione di tutti i ceo dei principali colossi tecnologici (da Zuckerberg a Bezos), ha di fatto rappresentato plasticamente la rottura di questo tabù. Non che il coinvolgimento dei privati di Palo Alto negli affari della difesa a stelle e strisce rappresenti una novità, ma ora l’inserimento di figure apicali di queste realtà aziendali nei ranghi delle Forze armate, seppur a titolo di riservisti, sancisce un ulteriore passo in avanti verso un nuovo modello ibrido. Un modello che nasce però con diversi interrogativi al suo seguito. Non è infatti ancora chiaro in che modo l’istituzione del Detachment 201 andrà a modificare l’azione innovativa del Pentagono — sinora condotta attraverso uffici formati esclusivamente da militari come la Defense innovation unit (Diu) —, né come saranno gestiti i casi di eventuali conflitti di interesse legati alle ingenti commesse affidate dal Dipartimento alle aziende che, come si è visto, rimarranno i primi datori di lavoro dei nuovi “riservisti”.