L’Etiopia ha inaugurato la Grand Ethiopian Renaissance Dam, la più grande diga idroelettrica d’Africa, destinata a raddoppiare la capacità energetica del Paese e trasformarlo in esportatore regionale di elettricità. Ma il progetto, simbolo di sovranità nazionale, riaccende le tensioni con l’Egitto, che teme per la propria sicurezza idrica
Martedì l’Etiopia ha inaugurato la Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), la più grande diga idroelettrica dell’Africa. Un progetto da 5 miliardi di dollari e 14 anni di lavori, che promette di raddoppiare la capacità energetica del Paese e portare elettricità a circa 60 milioni di cittadini ancora privi di accesso. Con i suoi 5.150 megawatt di potenza installata, la Gerd segna un passaggio cruciale nella storia etiope: da Paese a lungo marginalizzato nello scenario geopolitico africano a potenziale hub regionale di energia.
Opportunità economiche e strategiche
Addis Abeba punta non solo all’autosufficienza energetica, ma anche a diventare esportatore netto di elettricità a basso costo verso Kenya, Tanzania e Gibuti. Le stime del governo parlano di oltre 427 milioni di dollari di ricavi da export già in questo anno fiscale. La presenza del presidente keniota William Ruto all’inaugurazione ha sottolineato la dimensione regionale dell’iniziativa e la prospettiva di una nuova integrazione energetica nell’Africa orientale.
Per il primo ministro Abiy Ahmed, la diga è molto più di un’infrastruttura: rappresenta un atto di sovranità e di riscatto nazionale. “Questo progetto significa la fine dell’irrilevanza geopolitica dell’Etiopia”, ha dichiarato, incorniciando la Gerd come simbolo di orgoglio collettivo.
Le tensioni con l’Egitto
Il rovescio della medaglia è il malcontento del Cairo, che dipende quasi interamente dal Nilo per il proprio fabbisogno idrico. Circa l’80% delle acque del fiume nasce in Etiopia, e l’avvio delle operazioni della diga viene percepito come una minaccia diretta alla sicurezza nazionale egiziana. In una lettera al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il ministro degli Esteri Badr Abdelatty ha ribadito che l’Egitto “difenderà gli interessi esistenziali del suo popolo” e che l’idea di un Cairo disposto a tollerare rischi sul Nilo sarebbe “un’illusione”.
L’opposizione egiziana affonda le radici negli accordi del 1929 e del 1959, che assegnavano all’Egitto la maggioranza delle acque del Nilo e il potere di veto sui progetti a monte. Per Addis Abeba e altri Paesi africani – tra cui Uganda, Ruanda e Tanzania – si tratta di intese coloniali superate, che hanno ignorato i diritti degli Stati upstream.
Tra diplomazia e rivalità regionali
Le divergenze sul Nilo si intrecciano con dinamiche geopolitiche più ampie. L’Etiopia, già impegnata in tensioni con l’Eritrea e in cerca di accesso al Mar Rosso, ha visto la nascita di un fronte ostile composto da Egitto, Eritrea e Somalia. Un asse che riflette quanto la Gerd non sia solo una questione idrica, ma un tema di potere regionale.
Non sorprende che l’Arab League si sia recentemente schierata a sostegno delle rivendicazioni di Egitto e Sudan, ricevendo la dura replica dell’ambasciatore etiope a Mogadiscio, Suleiman Dedefo: “Quale base legale o morale ha la Lega Araba per minacciare l’Etiopia e pretendere che chieda il permesso di usare le proprie risorse?”.
Tra Washington, Pechino e Addis Abeba
Il progetto ha avuto anche una dimensione internazionale. Negli anni scorsi, durante il primo mandato di Donald Trump, Washington aveva ridotto gli aiuti all’Etiopia per frenare l’avanzamento della diga, vista la vicinanza storica con l’Egitto. Ma Addis Abeba ha trovato risorse alternative, ricorrendo a obbligazioni popolari e al sostegno della diaspora etiope. Anche la Cina ha avuto un ruolo, finanziando infrastrutture collegate – come le linee di trasmissione – tramite la Export-Import Bank.
Oltre la disputa
Le critiche al progetto restano, soprattutto sul rischio di riduzione dei flussi verso il Sudan durante le fasi di riempimento. Tuttavia, molti osservatori considerano le paure egiziane esagerate, sottolineando che la stessa diga di Assuan, negli anni ’60, aveva ridisegnato l’equilibrio del Nilo senza impedire lo sviluppo dei Paesi a monte.
La Gerd si colloca dunque a metà tra opportunità e tensione: da un lato promette sviluppo, elettricità e maggiore autonomia etiope; dall’altro innesca una partita delicata sul controllo delle risorse idriche più contese dell’Africa. Il futuro del Nilo dipenderà dalla capacità dei Paesi rivieraschi di trovare un compromesso che trasformi il fiume da potenziale linea di frattura a infrastruttura di cooperazione regionale.