Skip to main content

Al primo Defence procurement forum l’Italia fa sistema

Un’intesa tra Difesa, industria e ricerca avvia in Italia un percorso inedito di cooperazione sul procurement militare, puntando su innovazione e velocità decisionale, con lo sguardo puntato anche al contesto europeo. Dal primo Defence procurement forum emergono le priorità di governo, Forze armate e imprese, dalla responsabilità nell’uso delle risorse pubbliche all’attrazione di competenze, passando per la sburocratizzazione e la costruzione di un ecosistema capace di sostenere l’autonomia strategica nazionale e il ruolo dell’Europa nella Nato

Unire le forze tra industria, mondo della ricerca e Forze armate per ripensare procedure e piani di procurement in ambito europeo secondo una prospettiva nazionale. Questo l’obiettivo dell’intesa firmata oggi alla Direzione nazionale degli armamenti (Dna) e che prevede la messa a terra di un progetto che, entro la primavera del 2026, produrrà uno studio articolato su cinque tavoli tematici che supporterà la Difesa italiana nella comprensione dei profondi cambiamenti a cui stiamo assistendo. È la prima volta che in Italia, dove fino a poco tempo fa la separazione tra la sfera civile e militare era molto rigida, si assiste a una simile sinergia. 

Il primo Defence procurement forum, tenutosi presso la sede del Dna a palazzo Guidoni e con la partecipazione di figure di alto profilo dal mondo del pubblico e del privato, è stato anche l’occasione per lanciare un appello alla responsabilità, affinché i poderosi investimenti nella Difesa producano un valore aggiunto per l’intero Paese. 

Al centro dei lavori, il richiamo del ministro della Difesa, Guido Crosetto, alla necessità di adeguarsi ai tempi accelerati della competizione globale. “Stiamo vivendo in un’epoca caratterizzata da tempistiche che nella storia hanno pochi precedenti”, ha detto, ricordando che le minacce si trasformano “ogni sei mesi” e che i sistemi di contrasto devono, di conseguenza, evolvere con la stessa rapidità.

Non si tratta solo di risorse, ma anche di come esse vengono impiegate. “Dobbiamo trasformare ogni euro investito in qualcosa che sia veramente utile per la difesa della Nazione”. Per il ministro, maggiori fondi significano anche maggiori responsabilità: “Tali risorse devono trasformarsi in tecnologia, in difesa, in sicurezza”. Il tutto in un contesto in cui l’Europa deve dotarsi di massa critica, superando divisioni e frammentazioni che non giovano né all’Unione né ai singoli Paesi.

Il tema dell’innovazione è stato rilanciato dal ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, che ha insistito sull’esigenza di trattenere e riportare in Italia i ricercatori emigrati all’estero. “La ricerca va preservata”. Per farlo, ha indicato la via maestra delle infrastrutture di ricerca e i nuovi ambiti di sviluppo — dal quantum ai microchip — dove civile e militare possano interagire. Il tutto nella prospettiva di dare vita a quello che il ministro ha definito un “ecosistema virtuoso”.

Autonomia strategica e integrazione europea

In una prospettiva più strutturale, il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Luciano Portolano, ha descritto l’iniziativa come un primo tentativo di rendere stabile il confronto tra vertici militari, industria e accademia. “Nonostante Forze armate e industria si muovano su binari diversi, questi non devono mai essere divergenti”, ha spiegato, aggiungendo che la base industriale della difesa è “parte integrante dell’autonomia strategica e pilastro europeo della Nato”.

Sul terreno operativo, il Direttore nazionale degli armamenti, l’ammiraglio Giacinto Ottaviani, ha richiamato l’Edip (European defence industrial programme) e il Safe (Security action for Europe) come opportunità per procedere verso una sempre maggiore integrazione.“Il Safe, braccio armato finanziario di Readiness2030, vuole conciliare lo stimolo finanziario con la cooperazione tra Stati e tra industrie”. Ha parlato inoltre della necessità di creare un terreno fertile, “un hummus efficace”, per far dialogare difesa, industria e ricerca.

Sburocratizzazione e consolidamento produttivo

Dal lato industriale, è emersa l’urgenza di ridurre i vincoli procedurali e di consolidare le capacità. Stefano Pontecorvo, presidente di Leonardo, ha evidenziato che per la joint venture con Rheinmetall per la produzione dei nuovi veicoli corazzati dell’esercito sono state necessarie cinque diverse certificazioni antitrust, invocando quindi processi europei più rapidi. 

“A livello europeo”, ha argomentato Biagio Mazzotta, presidente di Fincantieri, “occorre deframmentare, ovvero ridurre il numero delle piattaforme e spendere meglio, oltre che spendere di più”.  “Fincantieri, che ricopre già un ruolo di primo piano, è pronta a fare la propria parte”.

Lorenzo Mariani, amministratore delegato e direttore generale di MBDA Italia, ha posto invece l’accento sulla tempestività: “La chiave è una: arrivare prima”. Secondo l’ad, occorre armonizzare i requisiti ed entrare nei progetti comuni con investimenti e programmi già avviati, per non rimanere indietro rispetto a partner e concorrenti. Mariani ha inoltre sottolineato i rischi derivanti da un percorso sparso di riarmi nazionali sul continente, dove le diverse disponibilità di spesa dei vari Paesi, se non coordinate, rischiano di produrre revanscismi nazionali.

Competenze, ricerca e cultura della sicurezza

Una riflessione di riguardo rispetto alle trasformazioni tecnologiche è arrivata da Alessandro Ercolani, amministratore delegato di Rheinmetall Italia, che ha distinto tre fasi della difesa, dall’era degli strumenti a quella dell’uomo-macchina, fino all’attuale era macchina-uomo. Un’epoca, la nostra, a metà tra queste ultime due, dove competenze e comprensione tecnologica rappresentano le condizioni imprescindibili per tenere il passo.

Il generale Stefano Mannino, presidente del Centro alti studi per la Difesa, ha richiamato il ruolo del Casd come un crocevia tra istituzioni, accademia e industria, “un crogiolo in cui condividere talenti e capacità, per anticipare gli eventi e non subirli”. La diffusione della cultura della difesa, ha detto, sarà sempre più centrale anche per spiegare alla cittadinanza e alla pubblica opinione perché vengono investite risorse pubbliche.

Non manca anche uno sguardo alle recenti dinamiche internazionali, con il professor Vittorio Emanuele Parsi che ha avvertito di come “la politica americana sta scuotendo le alleanze, in particolare la Nato”. Secondo Parsi, l’Europa non deve solo riarmarsi, ma anche capirne il perché in un mondo che vede le sue logiche relazionali mutare così repentinamente. “Possiamo dotarci delle macchine necessarie a difenderci, ma poi serve anche la volontà di difendersi”.


×

Iscriviti alla newsletter