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Anduril si lancia anche nel dominio spaziale. Nel 2026 il primo test con un veicolo orbitale

Anduril e Impulse Space condurranno una dimostrazione congiunta in orbita geosincrona con un veicolo altamente manovrabile. La missione, realizzata in collaborazione con la Space Force, testerà l’impiego di assetti progettati per schierare spacecraft autonomi dagli operatori a Terra

Anduril e Impulse Space, startup specializzata nel trasporto orbitale, hanno annunciato che nel 2026 terranno una dimostrazione congiunta in orbita geosincrona con un veicolo spaziale altamente manovrabile. L’obiettivo è quello di testare le capacità di uno spacecraft di avvicinarsi, osservare e manovrare attorno ad altri satelliti in completa autonomia e senza il controllo diretto degli operatori a Terra. La dimostrazione si inserisce nella più ampia collaborazione avviata con la Space Force, la quale guarda con sempre maggiore interesse alla possibilità di schierare assetti manovrabili nello spazio. 

Cosa prevede la missione

La missione è prevista per il 2026 e ruoterà attorno a due elementi. Il primo è Helios, il nuovo “space tug” sviluppato da Impulse, progettato per trasportare carichi utili dall’orbita bassa fino alla fascia geosincrona a 36.000 chilometri dalla Terra. Una volta raggiunta la destinazione, Helios rilascerà Mira, una navicella di circa 300 chilogrammi, pensata per compiere manovre agili e precise. A bordo di Mira troveranno poi posto i payload software-defined di Anduril: un processore di missione, un sensore a infrarosso a onde lunghe, strumenti per la navigazione di precisione e un pacchetto software basato su algoritmi di intelligenza artificiale che consentirà al veicolo di prendere decisioni in autonomia. Nel condurre il test, Mira dovrà avvicinarsi a satelliti già designati, catturarne immagini, analizzarle in tempo reale e riposizionarsi per osservarli da diverse angolazioni, il tutto senza un intervento umano diretto.

Il valore strategico del test

La scelta dell’orbita geostazionaria non è casuale, dal momento che è proprio lì che stazionano i satelliti più preziosi, sia dal punto di vista commerciale che militare. Parliamo, ad esempio, di piattaforme per le telecomunicazioni e sistemi di allerta precoce, asset fondamentali per le funzioni di comando e controllo sulla superficie del pianeta. Poter eseguire manovre di rendezvous e operazioni di prossimità a quella quota significa introdurre un livello di sofisticazione tecnologica e operativa che finora è stato solo abbozzato, e solo in orbite più basse e in contesti molto più controllati. La distanza rende infatti più complessa la comunicazione con la Terra, a causa della latenza dei comandi che impedisce reazioni tempestive.

Da un lato, avere a disposizione assetti altamente manovrabili consente di ispezionare un satellite in difficoltà, raccogliere rapidamente informazioni in caso di anomalie e rispondere rapidamente a scenari imprevisti, con quella che il Pentagono definisce “tactical responsiveness”. Dall’altro, non si può ignorare il carattere duale di una tecnologia che, se da una parte svolge funzioni difensive e di supporto, dall’altro può essere impiegata anche come uno strumento offensivo. Un veicolo che sa avvicinarsi a un satellite rivale, manovrare attorno ad esso e osservarlo da vicino, può anche interferire, disturbare o, in casi estremi, compromettere le sue funzioni. È la natura ambivalente dello spazio come dominio operativo, in cui la linea tra capacità difensive e offensive è estremamente sottile.


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