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L’Europa libera e forte parla da Ventotene. La ricetta di Pina Picierno

Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, racconta la prima Conferenza per la libertà e la democrazia tenuta sull’isola che fu culla del Manifesto federalista. Un incontro che ha messo insieme voci e storie di dissidenti, da Naval’nja a Tsikhanouskaya, con l’obiettivo di trasformare la memoria in impegno e di costruire un network internazionale contro le autocrazie

Da Ventotene all’Europa. Ma un’Unione finalmente capace di difendere se stessa e i propri valori. Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, racconta a Formiche.net la prima Conferenza per la libertà e la democrazia tenuta sull’isola che fu culla del Manifesto federalista. Un incontro che ha messo insieme voci e storie di dissidenti, da Naval’nja a Tsikhanouskaya, con l’obiettivo di trasformare la memoria in impegno e di costruire un network internazionale contro le autocrazie. Perché, spiega Picierno sulle nostre colonne, il tempo delle illusioni burocratiche è finito: la storia chiede all’Europa di agire. Difesa comune, riforme istituzionali, crescita e competitività: le ricette ci sono, ma serve la forza della politica per tradurle in realtà.

Presidente Picierno, la prima conferenza di Ventotene per la libertà e la democrazia l’ha immaginata come una testimonianza collettiva di freedom fighters. Quale messaggio è arrivato dall’isola?

Testimonianza, certamente. Ma soprattutto un impegno, assunto da tutti. Parliamo di esperienze che, nelle differenze, hanno un’unica ispirazione che attraversa tutti i continenti: la libertà, la democrazia e la resistenza alle varie forme di repressione del dissenso. L’impegno è quello di formare un network di connessione e condivisione che da Ventotene le unisca e le sostenga. A breve sarà costituita anche una fondazione, Libera e forte – Per l’Europa di Ventotene, che raccoglierà adesioni e competenze per uno spazio libero di studio e iniziativa politica su questi temi.

Dalle testimonianze che sono state ospitate, da Navalja a Tsicanoskaya, l’Europa può trarre nuova linfa per aumentare la propria consapevolezza sulle minacce reali che la circondano?

Partire da Ventotene non è stata una scelta casuale. Da quest’isola prese le mosse il sogno di un’Europa federale e pacificata, nata dalle macerie dei conflitti, esempio di integrazione e democrazia per il mondo intero. È stato particolarmente significativo il monito del Presidente della Repubblica: il mondo ha bisogno dell’Europa per non soccombere ai regimi e alle autocrazie. Questa è la nuova consapevolezza di cui vogliamo farci interpreti. Per alcuni decenni abbiamo ripiegato su noi stessi, abbiamo delegato difesa, sicurezza, mercati e risorse energetiche ad altri attori globali, in un delirio burocratico costruito sui bilanci e la contabilità. Mentre emergevano rischi e minacce alle stesse fondamenta della nostra convivenza che abbiamo fatto finta di non vedere. Ora la storia presenta il conto dei nostri limiti e dei nostri ritardi.

Più o meno in filigrana, da alcuni ragionamenti fatti sull’isola durante la kermesse, è tornato al centro il tema della Difesa Comune Europea. È più facile vincere l’opinione pubblica (e i populisti di destra e sinistra contrari a questa scelta necessaria) oppure realizzarla davvero?

L’opinione pubblica non va vinta. È un elemento imprescindibile della democrazia. Resto convinta che accrescere e unire le capacità di difesa comune sia esigenza diffusamente avvertita. Il bipopulismo fa molto rumore, ma è minoritario. Quello che più mi preoccupa sono le ingerenze di regimi e autocrazie che si sviluppano attraverso la disinformazione e la propaganda. È un aspetto della guerra ibrida ancora non rilevato e contrastato sufficientemente.

A che punto siamo, in Europa, sui dossier emersi proprio a Ventotene?

Il Parlamento europeo è la più grande istituzione democratica transnazionale del pianeta. Per sua natura è legata tanto al portato ideale di Ventotene quanto alle rivendicazioni democratiche del mondo. Dalla Presidenza di David Sassoli in poi, è diventato punto di riferimento concreto e morale di ogni lotta per la libertà ed è diventato l’avversario preferito dei regimi. Ora c’è bisogno che questo patrimonio di politica estera e relazioni internazionali sia condiviso anche dalle altre due principali istituzioni europee. Lo è solo in parte, per svariate ragioni. La prima è che va cercato un nuovo equilibrio tra le istituzioni europee, a favore della parlamentarizzazione del nostro continente. Un’Europa compiutamente federale e democratica è un’Europa più pronta ad affrontare le crisi internazionali e a sostenere i movimenti per la libertà nel mondo.

Mario Draghi a un anno dalla presentazione del suo rapporto sulla competitività, ha accusato l’Ue di “inazione”. Come rispondere a questa sollecitazione?

Difficile dargli torto. Dalla presentazione ad oggi abbiamo misurato la distanza tra la celebrazione di un contributo fondamentale per il futuro dell’Europa e la sua concreta attuazione. Una distanza abissale. È il cuore della ragionevole critica che si può e si deve muovere alla Commissione e alla sua Presidente. Do something, pronunciò quasi come una preghiera civile Mario Draghi, mesi fa. Da allora, il nulla, con una proposta di bilancio che lascia intravedere qualche spiraglio di coraggio, ma onestamente insufficiente. Stiamo ancora galleggiando tra le resistenze e i veti dei governi nazionali, compreso quello italiano, che nuotano solo quando l’acqua è ormai arrivata alla gola.

Nel suo recente discorso la presidente Ursula von der Leyen ha provato a tracciare una prospettiva sul futuro del Vecchio Continente. Lei pensa che le soluzioni formulate possano essere percorribili per uscire dall’impasse?

Le soluzioni le conosciamo. Da tempo. Liberare le nostre capacità produttive da troppi vincoli e “dazi” autoimposti, unire i nostri mercati, specie in ambito energetico e finanziario, adottare strumenti di debito comune per la crescita, l’industria e l’occupazione, irrobustire le nostre capacità tecnologiche e di conoscenza, mettere in comune e accrescere i nostri strumenti di difesa e sicurezza, in un quadro di riforme istituzionali credibile. È tutto già scritto e detto da tempo. Serve la politica. Serve forza e consenso. Se saprà averne, resta da vedere. Questo vale per tutti noi, tirarsene fuori è comodo quanto irresponsabile. Ma a questa Commissione è stata offerta una larga e robusta fiducia dalle principali forze europeiste che non può essere dispersa.


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