In Sicilia, la Med-Or Italian Foundation riunisce l’International Board e avvia la conferenza “Palermo, crocevia del Mediterraneo”. Focus: Gaza e le sue ricadute regionali, gestione dei flussi migratori, interconnessioni energetiche e geoeconomia. Linea emersa: usare diplomazia economica, scientifica e culturale per connettere Europa, Medio Oriente e Africa, rilanciando il dialogo tra Occidente e Sud Globale e superare le crisi in corso
La Med-Or Italian Foundation ha riunito a Palermo il suo International Board, con figure di primo piano provenienti da 29 Paesi, avviando la successiva conferenza internazionale “Palermo, crocevia del Mediterraneo”: tre giornate di dibattiti su geopolitica, sicurezza, innovazione e diplomazia culturale nell’area del Mare Nostrum. L’idea di fondo: il bacino geostrategico mediterraneo come fulcro per rafforzare il dialogo tra Occidente e Sud Globale, anche attraverso nuove iniziative rivolte ai Paesi arabi e africani, per consolidare i rapporti tra Europa, Medio Oriente e Africa. In questo quadro si sono affrontati i tre nodi centrali che attraversano oggi il Mediterraneo allargato: la crisi di Gaza (con le sue conseguenze regionali), la gestione dei flussi migratori e dei cambiamenti climatici (con gli effetti sociali e securitari connessi) e le interconnessioni energetiche e geoeconomiche (con lo sbocco di prosperità e sviluppo che rappresentano).
È in questo quadro che le parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani e del principe saudita Turki al-Faisal, incentrate anche sulla crisi di Gaza, hanno mostrato una comunione di visioni inter-mediterranea.
“Penso in primo luogo a Gaza, dove in questi mesi si è vista una vera e propria carneficina. Siamo contrari all’offensiva per i rischi per la popolazione civile e a ogni ipotesi di trasferimento forzato dei palestinesi dalla Striscia”, ha dichiarato Tajani nel suo messaggio di saluto per l’evento palermitano, ribadendo che l’Italia lavora “per il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e l’accesso degli aiuti umanitari”, con l’obiettivo di rilanciare la prospettiva dei Due Stati.
Una lettura della situazione che ha trovato eco nell’intervento di Turki al-Faisal, già ambasciatore a Londra e Washington e a lungo capo dell’intelligence di Riad, oggi presidente del King Faisal Center for Research and Islamic Studies e tra i membri di spicco dell’International Board della fondazione presieduta da Marco Minniti. A suo giudizio “il problema palestinese è fonte di minaccia per la pace e la sicurezza del Mediterraneo” e i fallimenti della comunità internazionale su Gaza hanno avuto un “effetto devastante”. Due posizioni che, pur da prospettive diverse, hanno sottolineato la centralità della crisi nel futuro regionale.
Gaza, sicurezza e migrazioni
La posizione italiana è stata approfondita dal ministro Tajani durante l’ interrogazione parlamentare della giornata di ieri, in cui rispondendo ai senatori ha aggiunto che il governo “valuterà eventuali proposte di sanzioni commerciali, nella consapevolezza che non devono avere ricadute sui civili israeliani, in particolare su una società multietnica con importanti componenti arabe e druse”. “Lavoriamo in stretto coordinamento con i partner internazionali, a partire dal governo tedesco, con cui abbiamo una sintonia speciale. Ho parlato con il ministro (degli Esteri Johann) Wadephul, condividiamo l’impegno a fare ogni sforzo per alleviare le sofferenze del popolo palestinese e per raggiungere la pace, lontani da polemiche che nulla hanno a che vedere con i dolori dei palestinesi”, ha ribadito il titolare della Farnesina.
Non a caso, l’ex ministro tedesco della Difesa Thomas de Maizière, presente a Palermo, ha richiamato questa stessa convergenza. Ha osservato quanto sia difficile distinguere verità e propaganda nel conflitto, pur riconoscendo che “Hamas ha iniziato con il massacro del 7 ottobre” e che Israele aveva il diritto di reagire. Tuttavia, ha aggiunto, il governo Netanyahu ha “superato le linee”, sollevando il tema della proporzionalità delle operazioni militari. Anche perché le disproporzioni hanno portato a contro-reazioni: l’innesco di più fronti nella regione, dal Mar Rosso al Libano fino all’Iran, vede in queste settimane un’escalation in Yemen, dove Israele sta aumentando i bombardamenti contro gli Houthi – che hanno aperto il fronte meridionale in solidarietà con i palestinesi e con Hamas (cugini nell’Asse della Resistenza guidato dai Pasdaran).
Ma gli effetti sono ampi. Se il Mediterraneo è stato descritto anche come spazio di instabilità migratoria – “Il Mare Nostrum non deve essere più associato alle morti in mare”, ha insistito Tajani – la destabilizzazione prodotta dalla guerra viaggia di pari passo con il contrasto alle reti criminali. È in questo contesto che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha evidenziato come la presenza di attori non statali e le pressioni geopolitiche in Africa incidano direttamente sulle rotte migratorie. Piantedosi ha inoltre sottolineato che il Piano Mattei punta a trasformare il Mediterraneo e l’Africa in aree di cooperazione e sviluppo, per ridurre le cause profonde dei flussi.
Ed è proprio in tale cornice che il riferimento al Piano Mattei assume un senso di continuità: partenariati paritari con la sponda Sud come sbocco positivo, per trasformare la gestione dell’emergenza in una prospettiva di cooperazione strutturata.
Il valore delle interconnessioni
La strategia italiana per l’Africa, che il governo Meloni ha voluto intitolare a Enrico Mattei, è una di quelle progettualità che – pure senza affrontare le questioni securitarie in senso stretto – ruota attorno a una stabilizzazione complessiva della regione. Con l’Italia che vede nel Mediterraneo il vicinato più prossimo e nell’Africa quello più futuribile, condividendone interessi e destini con le grandi potenze (a cominciare con quelle mediorientali), la chiave è nella sicurezza energetica, sanitaria, alimentare, al pari dello sviluppo di nuove infrastrutture. “L’Italia vuole essere lo snodo energetico dell’Europa nel Mediterraneo”, ha spiegato Tajani, rilanciando il corridoio Imec.
Una “rete di connettività” di cui l’ambasciatore Francesco Maria Talò, inviato speciale italiano per il progetto, ne ha definito valore non solo commerciale ma geopolitico. Se l’ottica è, per dirla con Frédéric Bastiat, che “dove non passano le merci, passano gli eserciti”, il suo rovesciamento moderno diventa l’idea che far passare le merci significhi evitare le armi. Questa è la logica di fondo emersa in più occasioni anche negli interventi degli speaker convocati da Med-Or: usare la diplomazia economica anche come vettore securitario. E abbinare a questa la diplomazia scientifica, climatica, culturale, dell’innovazione e del capitale umano.