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In Libia resta alta la tensione dopo l’accordo tra governo e Rada a Tripoli

La vera sfida, secondo l’avvocato dei diritti umani Keshbour, risiede nella capacità dello Stato di affrontare le radici della crisi, anziché limitarsi a soluzioni temporanee

Resta alta la tensione a Tripoli dopo l’accordo di sicurezza tra il governo di unità nazionale, guidato da Abdulhamid Dbeibah, e l’Apparato di Dissuasione (Rada), mediato dalla Turchia. Questo perché rimangono avvolte nel mistero le sue prime fasi di attuazione. Nel frattempo, Dbeibah cerca di consolidare il proprio controllo nel conflitto in corso con l’Apparato (Rada), guidato da Abdel Raouf Kara, su questioni chiave come la consegna dell’aeroporto di Mitiga, delle carceri sotto il controllo dell’Apparato e dei ricercati dalla Procura generale. A circa una settimana dall’annuncio dell’accordo, al momento non ancora reso pubblico ufficialmente, il presidente del Consiglio presidenziale, Mohamed Al-Menfi, ha riunito i membri del comitato per gli accordi militari per discutere gli sviluppi legati al consolidamento del cessate il fuoco a Tripoli. In questi giorni la capitale libica ha rischiato di scivolare in un nuovo conflitto dopo una serie di mobilitazioni e tensioni tra forze fedeli al governo e altre affiliate all’Apparato di Dissuasione.

Le mosse di Dbeibah per ridimensionare l’Apparato

Il comitato, istituito il 4 giugno scorso da Al-Menfi, ha il compito di elaborare e implementare un piano per la sicurezza e gli accordi militari a Tripoli, con l’obiettivo di eliminare ogni presenza armata dalla città. Parallelamente, Dbeibah ha assunto una serie di decisioni mirate a ridurre l’influenza dell’Apparato sulle infrastrutture strategiche. Tra queste, spicca il provvedimento per separare l’aeroporto civile di Mitiga dalla base militare omonima, con l’obbligo per il comitato di completare i lavori entro una settimana e sottoporre i risultati a Dbeibah per l’approvazione.

La base di Mitiga rappresenta un nodo cruciale nel conflitto per il controllo tra le forze di sicurezza, militari e le milizie armate nell’ovest della Libia. Da anni sotto il controllo dell’Apparato di Dissuasione per la lotta al terrorismo e al crimine organizzato (Rada), la base ospita l’aeroporto civile di Mitiga – l’unico operativo a Tripoli dopo la distruzione dell’aeroporto internazionale nel 2014 durante la guerra “Fajr Libya” – oltre a un ospedale militare e un carcere.

Voci su un battaglione neutrale e tensioni istituzionali

Secondo indiscrezioni, un battaglione neutrale affiliato al Consiglio presidenziale potrebbe assumere la sicurezza dell’aeroporto, mentre la gestione del carcere di Mitiga e di altre prigioni verrebbe trasferita al ministero della Giustizia e alla polizia giudiziaria. È stato inoltre nominato un nuovo comandante per la polizia giudiziaria, una decisione che ha generato tensioni tra il governo, il Consiglio presidenziale e l’Apparato. In precedenza, un conflitto sotterraneo tra Dbeibah e Al-Menfi era emerso riguardo alle competenze di nomina nel settore della sicurezza: Al-Menfi considera la carica di capo della polizia giudiziaria sotto la sua autorità come comandante supremo dell’esercito, mentre Dbeibah rivendica il diritto di gestirla in qualità di primo ministro.

Dbeibah ostaggio delle milizie

L’ex ambasciatore libico Mohamed Al-Mardas ha dichiarato che le recenti tensioni politiche e di sicurezza a Tripoli e nell’ovest del Paese riflettono un livello di scontro senza precedenti tra Misurata e la capitale, a causa delle politiche “in crisi” del governo di unità nazionale temporanea guidato da Abdulhamid Dbeibah.

In un’intervista al canale televisivo Al-Masar, Al-Mardas ha sottolineato che, nonostante la separazione formale tra la base militare e l’aeroporto civile di Mitiga, il controllo effettivo rimane nelle mani dell’Apparato di Dissuasione, che mantiene i suoi uffici all’interno dell’aeroporto, contraddicendo le dichiarazioni ufficiali di pieno controllo securitario. Ha aggiunto che a Misurata stanno crescendo le voci di dissenso contro Dbeibah, soprattutto tra uomini d’affari e imprenditori, che vedono nella sua permanenza al potere una minaccia alla stabilità della regione occidentale.

“Dbeibah è diventato ostaggio delle milizie che ha portato da Misurata”, ha affermato Al-Mardas, sottolineando che queste rappresentano un peso per il governo a causa delle loro crescenti richieste di denaro e posizioni di potere. Ha avvertito che questa situazione non potrà durare a lungo senza compromettere la sicurezza e la stabilità dell’intera regione occidentale, prevedendo che la permanenza di Dbeibah alla guida del governo potrebbe portare a un’escalation a Tripoli, fino al rischio di una guerra tra gruppi armati e forze di sicurezza.

Al-Mardas ha anche criticato il presidente del Consiglio presidenziale, Mohamed Al-Menfi, accusandolo di indecisione e di oscillare tra soluzioni pacifiche e militari, ostacolando così i progressi politici. Ha aggiunto che Dbeibah agisce in modo individuale, affidandosi a figure vicine di Tripoli senza una visione chiara, aggravando il caos politico e securitario.

Il ruolo chiave della Turchia

La Turchia ha svolto un ruolo determinante nel contenere le tensioni militari a Tripoli. Secondo media turchi ufficiali e conferme di Ziyad Daghim, consigliere del Consiglio presidenziale, l’intelligence turca ha mediato tra le parti, contribuendo a raggiungere un’intesa. Daghim ha dichiarato al quotidiano “Al-Wasat” che il conflitto politico e militare tra est e ovest della Libia è stato risolto grazie alla mediazione turca, sottolineando che Ankara è l’unico attore internazionale di cui entrambe le parti si fidano.

Secondo il quotidiano francese Le Monde, la mediazione dell’intelligence turca ha evitato un ritorno agli scontri armati, ma l’accordo rimane fragile e a rischio collasso. La Turchia, inoltre, ha ampliato il proprio raggio d’azione in Libia, avviando contatti diretti con il maresciallo Khalifa Haftar nell’est del Paese, segno della volontà di Ankara di consolidare i propri interessi marittimi nel Mediterraneo orientale, anche a costo di ridimensionare le sue alleanze precedenti.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha sottolineato la necessità di un “dialogo costruttivo” tra est e ovest della Libia, evidenziando l’impegno di Ankara nel preservare la sovranità e l’integrità territoriale del Paese. Erdoğan ha ricordato il sostegno della Turchia al governo legittimo di Tripoli, ma ha anche indicato un’apertura diplomatica verso l’est della Libia. In particolare, ha evidenziato che l’approvazione da parte di Bengasi dell’accordo marittimo firmato tra Turchia e Tripoli rappresenterebbe un importante successo in termini di diritto internazionale.

Sviluppi regionali e internazionali

Intanto cresce il ruolo del generale libico Khalifa Haftar a livello internazionale così come il sostegno offerto dai paesi arabi a Bengasi. Il comandante dell’Esercito Nazionale Libico di Rajma è arrivato ieri nella capitale saudita Riad, dove ha tenuto una serie di incontri con funzionari sauditi. Lo riferiscono fonti libiche al portale Fawasel. Le discussioni hanno riguardato diverse questioni, tra cui il dossier sul Sudan.

Nel frattempo, la Libia è al centro di una battaglia diplomatica sulla delimitazione della zona economica esclusiva con la Grecia. Dopo un incontro ad Atene tra il ministro degli Esteri libico incaricato, Taher Al-Baour, e il suo omologo greco, Giorgos Gerapetritis, è stato annunciato l’avvio del processo di demarcazione, con la prima riunione dei comitati tecnici già tenuta e un prossimo incontro previsto a Tripoli.

Sul piano regionale, il capo di stato maggiore delle forze armate egiziane, Ahmad Khalifa, ha incontrato il capo di stato maggiore delle forze della “Comando Generale”, Khaled Haftar, per discutere il rafforzamento della cooperazione militare e di sicurezza. Parallelamente, il ministero degli Esteri russo ha ribadito il sostegno agli sforzi delle Nazioni Unite per unificare le istituzioni libiche, sottolineando che i libici stessi devono svolgere un ruolo centrale in questo processo.

Una crisi politica senza fine per il sostegno continuo offerto alle milizie

Nonostante l’intensa attività diplomatica e militare, molti libici e osservatori ritengono che il processo politico per risolvere la crisi del Paese rimanga intrappolato in un circolo vizioso. L’assenza di un progresso significativo continua a lasciare la Libia in un’impasse politica, senza una via d’uscita chiara dalla crisi che si protrae da anni.

L’avvocato e attivista per i diritti umani in Libia, Mahdi Keshbour, ha dichiarato che le esperienze di smantellamento e integrazione delle formazioni armate condotte in alcuni Paesi non possono essere applicate letteralmente al contesto libico, a causa delle profonde differenze nei contesti politici e di sicurezza. In un’intervista al canale televisivo libico “Salam”, Keshbour ha sottolineato che la crisi libica è caratterizzata dall’interferenza di attori internazionali che giocano un ruolo diretto nel sostenere le milizie armate, complicando gli sforzi per il loro smantellamento. Ha spiegato che, sebbene alcuni Paesi abbiano avuto successo nell’integrare formazioni non regolari nelle istituzioni statali o nel perseguire i responsabili di violazioni, la situazione in Libia è diversa, soprattutto a causa del sostegno esterno diretto ricevuto da alcune di queste milizie, al di fuori della legalità, che ostacola gli sforzi dello Stato per riprendere il controllo.

Keshbour ha evidenziato che il sostegno finanziario continuo rappresenta il principale fattore di sopravvivenza di questi gruppi armati, affermando che “se le fonti di finanziamento fossero prosciugate, non avrebbero più alcuna presenza effettiva sul territorio”. Ha inoltre avvertito che il sostegno politico e militare, sia da parte di attori locali che internazionali, fornisce a queste milizie una copertura per continuare le loro violazioni, conferendo loro talvolta una legittimità formale attraverso decisioni ufficiali adottate sotto pressione. Per quanto riguarda le soluzioni proposte, Keshbour ha definito il dialogo tra il governo statunitense e alcune parti libiche un primo passo positivo, ma ha sottolineato la necessità di considerarlo come una fase di un processo più ampio.

La vera sfida, secondo l’avvocato, risiede nella capacità dello Stato di affrontare le radici della crisi, anziché limitarsi a soluzioni temporanee. Keshbour ha suggerito la possibilità di sviluppare esperienze pilota collaborando con formazioni “semi-ufficiali”, come l’Apparato di Deterrenza, istituito con decisioni statali e con compiti specifici, ad esempio affidando loro strutture vitali come l’aeroporto di Mitiga o le carceri attraverso accordi ufficiali. Tuttavia, ha sottolineato che la sfida maggiore sarà la fase successiva, in particolare la gestione delle violazioni commesse all’interno di queste istituzioni e la garanzia di responsabilità per i colpevoli.


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