Con un deficit prossimo ai 62 miliardi e con quasi due impianti di raffinazione su dieci fuori uso sul fianco ucraino, per il Cremlino sembra giunto il momento di aumentare l’Iva al 22%. Dopo settimane di voci di corridoio, la mazzata prende dunque forma e corpo. E anche le banche ne pagheranno lo scotto
Alla fine, era solo questione di settimane. Perché l’antifona era arrivata, forte, proprio lo scorso luglio, come raccontato da questo giornale. Al Cremlino, senza pensarci su troppo, avevano deciso che chi aveva debiti con il fisco, avrebbe dovuto pagare tutto e subito. E senza passare per la sentenza di un tribunale. Senza, cioè, alcun accordo transattivo via giudice. Era l’effetto collaterale, decisamente indesiderato, del progressivo collasso dell’economia russa, schiacciata dalle sanzioni (è in arrivo il pacchetto numero 19 da parte dell’Europa) e con le vendite di petrolio fortemente ridotte.
D’altronde, gli attacchi mirati dell’Ucraina hanno messo fuori uso circa il 17% della capacità di raffinazione del Paese, facendo impennare i prezzi dei carburanti e creando carenze in tutto il territorio. A questo si sommano l’inflazione in doppia cifra, la contrazione del Pil e i tassi di interesse elevati che soffocano famiglie e imprese. Certo, ci sono l’India e la Cina, gli amici di Mosca. I quali comprano petrolio, ma lo fanno a buon mercato ovvero a prezzi scontati. Il che non può non impattare sulle entrate del Paese. Di qui a un aumento delle tasse il passo è, dunque, breve. Anzi, brevissimo. Senza un aumento degli incassi, infatti, non solo non sarà possibile proseguire la guerra contro l’Ucraina, ma persino mandare avanti la macchina statale, che conta 1,5 milioni di dipendenti pubblici, aumentati di circa il 50% negli ultimi 20 anni. Ma, soprattutto,
Ma, soprattutto, il deficit statale per il 2025 potrebbe toccare i 62 miliardi di dollari, un livello insostenibile senza nuove entrate. Con oltre il 40% del bilancio destinato alla difesa, Mosca si trova a dover sacrificare spesa sociale e investimenti civili. L’unica strada percorribile sembra essere, insomma, l’aumento delle tasse, in particolare dell’Iva, definita dagli economisti la più predatoria tra le tasse perché colpisce direttamente i consumatori. Il rischio impopolarità sarebbe, per forza di cose, dietro l’angolo per Vladimir Putin.
Gli stessi servizi segreti ucraini ne sono più che convinti. “Nonostante le promesse pubbliche di Putin di non aumentare il carico fiscale, le autorità stanno già discutendo di aumentare l’aliquota Iva dal 20% al 22%. Sebbene questa decisione contraddica le dichiarazioni precedenti, è inevitabile: non c’è più nulla da fare per tagliare la spesa: né l’esercito né i programmi sociali vengono seriamente presi in considerazione”. L’Iva è d’altronde considerata la principale fonte di entrate del bilancio federale: nel 2024 ha rappresentato quasi il 37% di tutti gli afflussi, ovvero 13,5 trilioni di rubli. Ora, l’aliquota IVA è stata modificata l’ultima volta nel 2019, dal 18% al 20%. Ma per ridurre il deficit e preservare la regola di bilancio, il governo è costretto a compiere nuovamente questo passo. Sono già state aumentate altre imposte, ma il loro effetto è limitato. Il deficit previsto per la fine del 2025 oscilla tra i 5 e gli 8 trilioni di rubli, rendendo i 2,2 trilioni di rubli previsti (lo 0,9% del Pil) per il 2026 una fantasia finanziaria”. Chi pagherà il conto?
Le banche saranno le prime a essere colpite, ma non tanto dall’aumento dell’Iva, quanto dalla generale stretta fiscale in arrivo: è stato presentato alla Duma di Stato un disegno di legge che propone un’imposta una tantum del 10% sugli enti creditizi. Il meccanismo di calcolo ripete il modello del 2023, quando un’analoga imposta sulle grandi imprese portò al bilancio 315 miliardi di rubli. Si prevede che le banche contribuiranno con altri 200 miliardi di rubli, una somma trascurabile rispetto al deficit complessivo. E pensare che poche settimane fa German Gref, amministratore delegato di Sberbank, prima banca russa e una delle figure più influenti della finanza nazionale, ha parlato apertamente di stagnazione dell’economia nazionale, avvertendo che, se la Banca centrale non interverrà con un deciso taglio dei tassi d’interesse, la Russia rischia di scivolare in recessione. Ora arriverà il classico carico da 90, le tasse.