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Verso la nuova Unga, de profundis dell’Onu? La riflessione dell’amb. Castellaneta

Che fare per cercare di rivitalizzare quello che resta dell’Onu? Bisognerebbe ripartire da una governance più snella e che rifletta in maniera più fedele i nuovi equilibri di potere a livello internazionale, consentendo da una parte una maggiore partecipazione del cosiddetto Global South ma anche stimolando un maggiore coinvolgimento dell’Europa. Il commento di Giovanni Castellaneta

Si apre oggi a New York l’appuntamento annuale della Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Un evento sempre molto atteso, ma che si è purtroppo ridotto al livello di uno ‘show teatrale’, dove gli attori (ovvero i leader degli oltre 190 Stati membri dell’Onu) recitano a soggetto ormai ben consapevoli della sterilità di questo esercizio. Uno spettacolo dove, peraltro, alcuni interpreti addirittura non hanno il diritto di partecipare, come il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, a cui la Casa Bianca ha negato il visto di ingresso negli Stati Uniti.

È un dato di fatto che il sistema delle Nazioni Unite, espressione di un mondo che non c’è più e che era il risultato dell’equilibrio di potere sorto all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, non riflette l’ordine mondiale attuale e non è più in grado di affrontare in maniera efficace le enormi sfide globali che caratterizzano l’epoca che stiamo vivendo. Servirebbe un rinnovamento complessivo, a partire dalla governance apicale riformando il Consiglio di Sicurezza, unico organo veramente decisionale che è ad oggi bloccato dai veti reciproci dei cinque membri permanenti. E bisognerebbe anche cambiare il modo in cui le Nazioni Unite sono organizzate a livello operativo: si tratta ormai di un’istituzione elefantiaca, dove l’amministrazione e la burocrazia hanno preso il sopravvento rispetto all’operatività e alle azioni sul campo, soprattutto con riferimento ai programmi di cooperazione internazionale e aiuto allo sviluppo. Questi ultimi sono anche stati colpiti da massicci tagli ai finanziamenti che hanno portato alla cancellazione di numerosi programmi: pensiamo ad esempio a quanto deciso dagli Stati Uniti di Trump nei primissimi giorni del suo mandato, che ha colpito organizzazioni come il World Food Program che ha peraltro il suo quartier generale proprio a Roma e che ha proprio in questi giorni soppresso la Fondazione Italia dello stesso WFP.

A livello di temi, questa sessione dell’Unga sarà quasi certamente dominata dalla questione palestinese (con l’Italia che ha preso una posizione chiara e razionale in merito, ma largamente minoritaria, dopo il passo compiuto da Regno Unito, Canada, Australia e Francia) e dalla guerra in Ucraina. Tuttavia, appare evidente che non sarà possibile fare passi avanti significativi su nessuno dei due dossier. Il dibattito in Assemblea Generale sarà già influenzato negativamente da una membership spaccata, con fratture che si cristallizzano in una vera e propria paralisi decisionale in seno al Consiglio di Sicurezza. Non saranno invece trattate questioni economiche, se non in forme abbastanza stereotipate che difficilmente consentiranno di fare passi concreti. Lo stesso si può dire per temi come il commercio internazionale e i traffici illeciti, sia di esseri umani che di merci e di droga

Che fare, dunque, per cercare di rivitalizzare quello che resta dell’Onu?

Bisognerebbe ripartire da una governance più snella e che rifletta in maniera più fedele i nuovi equilibri di potere a livello internazionale, consentendo da una parte una maggiore partecipazione del cosiddetto ‘Global South’ ma anche stimolando un maggiore coinvolgimento dell’Europa. A questo proposito, il settore di principale attenzione dovrebbe essere quello della Difesa: anche se sembra ancora molto prematuro parlare di un ‘esercito europeo’, nell’ottica di un maggiore disimpegno degli Stati Uniti all’interno della Nato sarebbe auspicabile un maggiore coordinamento tra Paesi europei, includendo anche il Regno Unito. Meritano poi attenzione anche le iniziative – seppure ad uno stadio molto iniziale – che si stanno sviluppando anche in altre regioni, come il progetto di una cooperazione rafforzata a livello militare tra le monarchie del Golfo, a valle del summit che si è svolto la scorsa settimana nella capitale del Qatar, Doha.

Sarà dunque un’Unga nella quale non mancheranno le tensioni e le decisioni saranno irrealizzabili. Da una parte, attendiamoci un discorso molto duro da parte di Donald Trump, che probabilmente non esiterà a recitare il de profundis dell’Onu alla luce del suo approccio puramente transazionale e allergico ad ogni forma di multilateralismo. Dall’altra, ci saranno anche interventi assertivi da parte dei maggiori rappresentanti del Sud globale, come il Presidente brasiliano Lula, il primo a parlare per tradizione, che è stato tra i pochi Paesi a rispondere apertamente ai comportamenti aggressivi adottati dagli Stati Uniti. L’auspicio, quindi, è che si possa trovare una sintesi tra queste diverse istanze, per una Onu meno ‘pesante’ e più efficace. Non sarà facile, ma è importante sostenere un processo di riforma che porti ad una nuova governance dove anche potenze di livello medio come l’Italia possono sperare di contare di più magari riprendendo quel vecchio progetto forse non al passo con i tempi della nuova statalizzazione che presagiva un solo seggio europeo europeo al posto di quelli di Francia e Gran Bretagna con la messa in comune di risorse nel campo della difesa e delle politiche per la lotta alla povertà ed alle malattie nel mondo


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