Dopo aver demolito la siderurgia occidentale, vendendo a mezzo mondo acciaio a prezzi eccessivamente bassi, adesso per Pechino è tempo di riequilibrare domanda e offerta in patria e porre fine alla bulimia di esportazioni. Una presa di coscienza da cui l’Europa ha tutto da guadagnare
Non era possibile andare avanti. Il nuovo volto della crisi cinese è l’acciaio, fino a pochi mesi fa fiore all’occhiello della seconda economia globale. Negli ultimi venti anni il mondo, specialmente l’Europa, ha comprato acciaio dal Dragone, perché costava di meno, nonostante una qualità non sempre all’altezza dei produttori d’occidente. Poi, il grande freddo. Come questo giornale ha raccontato mesi fa, il mercato interno è andato in saturazione per eccesso di offerta (l’ormai famosa overcapacity), riversando tutto l’invenduto all’esterno, mandando in tilt l’industria siderurgica europea e provocando il crollo dei prezzi in patria. A questo si sono aggiunti i dazi americani e il collasso del mattone (meno cantieri, meno richiesta di acciaio).
Il risultato è stato un disastro generalizzato, dentro e fuori la Cina. Nel Dragone, secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica della Cina, le aziende siderurgiche cinesi hanno ridotto la produzione di acciaio del 6,9% a maggio 2025 rispetto a maggio 2024, attestandosi a 86,55 milioni di tonnellate prodotte. Si tratta del secondo calo mensile consecutivo, dopo il primo crollo, inaspettato, ad aprile. E questo nonostante il governo abbia annunciato piani per la ristrutturazione del settore siderurgico già a marzo. Ancora, nei primi cinque mesi del 2025, la produzione di acciaio nel Paese è diminuita dell’1,7% su base annua, attestandosi a 431,63 milioni di tonnellate.
E non è che in Europa le cose siano andate meglio. La manina è sempre quella della Cina, perché più Pechino non vende in casa propria, più vende fuori, con tutti gli effetti collaterali del caso. I numeri di Eurofer, l’associazione europea del settore, sono implacabili. La produzione di acciaio grezzo europeo, nel 2023 (ultimo dato disponibile), si è ridotta a 126 milioni di tonnellate, 56 milioni di tonnellate in meno rispetto al 2008. La domanda, nel 2023 sul 2022, è calata del 5,2%. Ora però in Cina qualcuno ha deciso di aprire gli occhi. Comprendendo, forse, che ti sovracapacità si muore.
Secondo quanto riportato da Bloomberg, la Cina vieterà la produzione di nuovo acciaio e taglierà la produzione. Questo nel tentativo di raffreddare l’offerta e riportare un minimo in quota i prezzi, ancora oggi in caduta libera. Ma soprattutto di frenare proprio quella overcapacity che tanti danni sta facendo. Come si legge nel piano settoriale 2025-2026 pubblicato dal ministero dell’Industria e dell’Informazione Tecnologica, le misure del governo includono anche l’aumento della produzione di acciaio di alta qualità e la promozione del suo utilizzo nell’edilizia e nei trasporti. Un passaggio quest’ultimo che evidenza la volontà della Cina di riportare l’offerta di acciaio al livello della domanda, incanalandola nel mercato interno, piuttosto che su quello esterno. A tutto vantaggio dell’Europa, che potrebbe vedere le forniture cinesi di acciaio progressivamente ridursi.
Più nel dettaglio, il piano di lavoro prevede che nel 2025-2026 i produttori di acciaio cinesi puntino a una crescita media annua della produzione a valore aggiunto di circa il 4%, migliorando le prestazioni economiche, bilanciando domanda e offerta sul mercato e ottimizzando la struttura industriale. Le misure includono poi controlli più severi sulla produzione di acciaio, una classificazione e una valutazione più severe dei produttori di acciaio e il divieto di aggiungere nuova capacità produttiva. Qualcuno a Pechino si è svegliato?