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Ecco limiti (e opportunità) della proposta Parigi-Riad sulla Palestina

La conferenza franco-saudita di New York potrebbe restare un episodio diplomatico. Ma potrebbe anche preludere a un nuovo allineamento internazionale sul Medio Oriente. Per Israele, che guarda alla normalizzazione con Riad come a un obiettivo strategico, è certamente l’ennesimo segnale di quanto la brutalità della guerra a Gaza abbia complicato la protezione della sua identità internazionale

La conferenza congiunta organizzata lunedì da Arabia Saudita e Francia a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite segna un passaggio significativo nel dibattito internazionale sul conflitto israelo-palestinese? L’incognita resta aperta. La risposta si intreccia con la difficoltà delle Nazioni Unite di mantenere rilevanza (“può l’Onu salvarsi dall’irrilevanza?”, si chiede un’analisi del Financial Times) e con un’agenda israeliana che, per necessità politica del premier Benjamin Netanyahu, non sembra poter accettare la prospettiva di uno Stato palestinese come esito di un processo di pace e negoziato complesso.

La conferenza ha comunque ribadito il sostegno alla creazione di una realtà statuale palestinese, riconoscibile e riconosciuta, invitando la comunità internazionale a un riconoscimento formale e sostenendo che solo la piena implementazione della soluzione a due Stati può garantire una pace duratura.

Il testo approvato sottolinea un impegno multilaterale forte: “La conferenza internazionale di alto livello ha portato all’adozione della Dichiarazione di New York approvata dall’Assemblea generale con una maggioranza eccezionale di 142 voti. Questa ambiziosa dichiarazione riafferma l’incrollabile impegno internazionale per la soluzione dei due Stati e traccia un percorso irreversibile per costruire un futuro migliore per i palestinesi, gli israeliani e tutti i popoli della regione.”

La “New York Declaration on the Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution” è stata elaborata nella conferenza co-organizzata da Arabia Saudita e Francia a New York tra il 28 e il 30 luglio 2025, e approvata dall’Assemblea generale dell’ONU il 12 settembre con 142 voti favorevoli su 193.

Non solo principi futuribili, ma anche misure immediate legate al presente. La conferenza chiede “un cessate il fuoco permanente, il rilascio di tutti gli ostaggi, lo scambio di prigionieri e la consegna senza ostacoli dell’assistenza umanitaria in tutta Gaza e il ritiro completo delle forze israeliane da Gaza”. È un linguaggio che combina l’urgenza di fermare le ostilità con una visione di lungo periodo, legata alla costruzione di un quadro politico condiviso.

Il coinvolgimento diretto della Francia – con Emmanuel Macron che con l’occasione ha formalizzato il riconoscimento dello Stato di Palestina – segnala il tentativo di Parigi di guadagnare centralità in una partita tradizionalmente dominata da Washington e su cui, dall’Europa, si era portato avanti il Regno Unito. L’asse Riad-Parigi appare strategico: la Francia si accredita come voce autonoma in Medio Oriente, cavalcando anche pressioni dell’opinione pubblica interna. In Europa le proteste, come quelle che in questi giorni hanno toccato anche l’Italia, chiedono infatti una linea più severa verso Israele. Per l’Arabia Saudita, la leadership su queste dinamiche serve a consolidare l’immagine di potenza diplomatica globale e a riaffermare la guida del mondo arabo, anche sotto la pressione di Turchia e Iran, giganti islamici che rivendicano costantemente la loro centralità sulla questione palestinese — anche con il fine di parlare a tutti i proseliti musulmani, un ruolo che invece tocca idealmente al Regno, protettore dei luoghi sacri dell’Islam. 

Il riferimento nella dichiarazione alla possibilità di una missione internazionale di stabilizzazione, alle riforme dell’Autorità Palestinese e alla prospettiva di una nuova architettura di sicurezza regionale — “Basandosi sull’esperienza dell’Asean e dell’Osce” — suggerisce che la conferenza non sia stata solo un gesto politico simbolico, ma l’avvio di una road map per ristrutturare il quadro mediorientale post-Gaza.

Restano comunque i dubbi sulla sua effettiva attuabilità. Il rilancio franco-saudita della soluzione dei due Stati rappresenta una sfida diretta a Israele, sempre più isolato sul piano internazionale, e riafferma la volontà di Riad di mantenere centralità nella ridefinizione degli equilibri regionali, bilanciando solidarietà alla causa palestinese e rapporti con Washington. Per Parigi, l’accoppiata con Riad in difesa della Palestina, serve anche a gestire le difficoltà di percezione legate alla fase post-coloniale e a rafforzare la propria immagine globale.


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