Il primo F-47, caccia di sesta generazione statunitense, è in costruzione e volerà nel 2028. Progettato per dominare i cieli con stealth avanzato, autonomia e droni collaborativi come il nuovo Fury, segna l’inizio di un’era ibrida di guerra aerea. Intanto l’Europa risponde con il programma Gcap, a cui partecipa anche l’Italia, per restare protagonista nella sfida tecnologica globale
In un mondo attraversato da tensioni geopolitiche crescenti, dalla guerra in Ucraina alla competizione tra Stati Uniti e Cina, il controllo dello spazio aereo non è più solo questione di supremazia tecnica, ma di equilibrio strategico globale. Per questo la notizia che il primo F-47, nuovo caccia di sesta generazione americano, è già in costruzione con volo inaugurale previsto nel 2028, segna un passaggio cruciale non solo per Washington ma per tutti gli alleati occidentali.
Ma che cos’è l’F-47?
Si tratta del programma Next generation air dominance (Ngad), destinato a sostituire l’F-22 Raptor come punta di diamante della superiorità aerea statunitense. Affidato a Boeing, l’F-47 non è soltanto un aereo, ma il cuore di un sistema complesso, costruito attorno a tre concetti chiave. Primo, stealth avanzato, con la capacità di ridurre al minimo le tracce radar, termiche e acustiche. Secondo, autonomia e collaborazione, perché l’aereo volerà affiancato da droni wingmen in grado di supportarlo in missioni rischiose. Terzo, raggio e potenza, con velocità oltre Mach 2 e autonomia operativa di oltre 1.800 chilometri. Gli Stati Uniti puntano ad almeno 185 esemplari, un numero che testimonia l’ambizione di mantenere il predominio nei cieli per i prossimi decenni.
Fury e l’ibrido del futuro
In questo quadro si inserisce il drone Fury, novità del panorama Anduril per il programma Collaborative combat aircraft (Cca). Si tratta di un velivolo senza pilota semi-autonomo, capace di decollare e atterrare con un semplice comando digitale e progettato per operare al fianco dei caccia con equipaggio. Fury rappresenta l’esempio concreto di quella filosofia che vede l’F-47 al centro di un ecosistema. Non un singolo aereo isolato, ma una piattaforma centrale inserita in un ecosistema operativo integrato, dove i droni collaborativi forniscono massa numerica, capacità di fuoco aggiuntiva e la possibilità di affrontare missioni ad alto rischio senza esporre vite umane. È la dimostrazione che il futuro del combattimento aereo sarà ibrido. Piloti e macchine insieme, con ruoli distinti, ma complementari.
La risposta italiana e degli Alleati
Non è però un percorso solitario. Anche in Europa e Asia si lavora alla sesta generazione. Il Global combat air programme (Gcap), frutto della cooperazione tra Regno Unito, Italia e Giappone, punta a un nuovo velivolo entro il 2035. L’obiettivo è un caccia stealth capace di integrare sensori, intelligenza artificiale e sistemi di supporto senza pilota, concepito come nodo di una rete operativa distribuita. Per Roma, la partecipazione significa restare nella frontiera tecnologica, difendere la propria industria e rafforzare i legami strategici con Londra e Tokyo. Significa anche garantire all’Europa un ruolo nella partita globale, evitando di dipendere unicamente dalle soluzioni americane e mantenendo un margine di autonomia strategica che, in tempi di crisi, può rivelarsi decisivo.
Cosa distingue davvero un caccia di sesta generazione?
Non si tratta solo di prestazioni superiori, ma la novità è l’integrazione totale. Velivoli capaci di operare in team con droni, connessi in tempo reale a reti di dati sicure, dotati di sensori intelligenti, pronti ad adattarsi a nuovi armamenti e a futuri scenari. Più che singoli aerei, veri e propri ecosistemi volanti, pensati per evolvere costantemente e resistere a contesti di guerra elettronica, cyber attacchi e minacce ibride. Il messaggio è chiaro: la partita del cielo di domani si gioca oggi. E chi resterà indietro rischia non solo di perdere una gara tecnologica, ma di compromettere il proprio peso politico e strategico nello scacchiere globale.