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Molto rumore per nulla. Dubbi e nodi del Power of Siberia 2

Nonostante le dichiarazioni di tre settimane fa tra Vladimir Putin e Xi Jinping, con tanto di memorandum, sulla strada per il nuovo gasdotto concepito per importare gas russo in Cina ci sono diversi ostacoli. Pechino non vuole legarsi mani e piedi a Mosca, chiede prezzi di favore e vuole massima libertà sulla risoluzione del contratto

La Cina potrebbe attendere a lungo prima di vedersi pompato il gas russo, di cui il Dragone ha bisogno almeno tanto quanto la Russia, che senza gli incassi derivanti dalle forniture di idrocarburi andrebbe incontro a un default quasi certo. Tre settimane fa, Xi Jinping e Vladimir Putin hanno sfilato insieme a Pechino per festeggiare gli 80 anni della vittoria nella Seconda guerra mondiale. Nell’occasione, hanno sottoscritto un memorandum per la realizzazione del Power of Siberia 2, l’arteria che dovrebbe consentire l’afflusso di metano russo nelle imprese cinesi. Un’infrastruttura, come detto, reciprocamente vantaggiosa e che legherebbe ancora di più i due Paesi. Pechino si assicurerebbe l’approvvigionamento di gas, anche in caso di shock e per giunta a prezzi di favore. La Russia avrebbe quella fonte di sostentamento senza la quale sarebbe perduta.

Eppure, qualcosa non funziona. Questione di prezzi, di costi e di volumi. E anche di politica. Un report del Carnegie, non certo l’ultimo degli osservatori, mette il dito nella piaga. “Gli annunci sui progressi nei colloqui sul gasdotto Power of Siberia 2, fatti durante la visita di settembre di una delegazione russa in Cina, erano del tutto prevedibili. Dopotutto, Power of Siberia 2 offre notevoli vantaggi per entrambe le parti, poiché pomperebbe gas russo in Cina. La Cina non solo necessita di più gas, ma ha anche bisogno di più fornitori in caso di crisi geopolitica. La Russia dispone di enormi quantità di gas e sta cercando di sostituire il mercato europeo perso a seguito dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina. Tuttavia, considerazioni politiche e transazionali hanno a lungo reso difficile il raggiungimento di un accordo finale”, è la premessa.

“Per Mosca, la Cina è l’unico acquirente in grado di accaparrarsi l’enorme quantità di gas disponibile, e non solo perché la Russia ha perso il mercato europeo. Le riserve di gas della penisola russa di Yamal erano troppo grandi per essere assorbite dai clienti europei, anche quando il commercio di gas russo-europeo era in pieno svolgimento, prima della guerra su vasta scala con l’Ucraina. Per questo motivo, la società statale Gazprom ha cercato a lungo un modo per esportare il gas di Yamal in Cina. I bassi costi di upstream fanno sì che possa essere ancora uno scambio redditizio, nonostante le lunghe distanze dal mercato cinese”.

Ora, “sebbene la costruzione di un gasdotto da Yamal alla Cina rappresenti un’impresa imponente e costosa, non sarebbe un caso unico. La distanza tra Yamal e Kyakhta, al confine con la Mongolia, è all’incirca la stessa tra Yamal e il confine ucraino, e la lunghezza del gasdotto di transito in Mongolia (935 chilometri) è all’incirca la stessa della rotta di transito ucraina. Anche se pompare gas da Yamal al confine tra Cina e Mongolia costasse circa 100 dollari per mille metri cubi, il gas russo sarebbe comunque più economico per gli acquirenti cinesi rispetto alle alternative”, spiega il Carnegie.

Ecco però il problema. “La Cina consuma attualmente poco più di 400 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Circa il 60% di questo gas è prodotto internamente, mentre il restante 40% viene importato. E la domanda di gas della Cina sarà alimentata dalla crescita nei settori dell’energia, dei servizi di pubblica utilità e dei trasporti. Ma, sebbene la Cina abbia bisogno di gas e la Russia ne abbia enormi riserve, c’è ancora un grosso ostacolo: la politica di Pechino prevede che nessun singolo esportatore di risorse naturali essenziali, quale è la Russia, debba godere di una fetta eccessivamente ampia del mercato cinese. Ed è vero che le attuali forniture di gas dalla Russia alla Cina fanno apparire significativa la quota di mercato della stessa Russia. Per ora, le forniture di gas dalla Russia tramite gasdotto ammontano a 38 miliardi di metri cubi all’anno, ma sono destinate a crescere fino a 56 miliardi di metri cubi”. Tradotto, il Dragone, con il Power of Siberia 2, rischia di legarsi mani e piedi a Mosca.

“A prima vista, questo sembrerebbe rendere la Russia un attore eccessivamente dominante sul mercato del gas cinese. In effetti, se le esportazioni di gas russo tramite gasdotto raggiungessero i volumi promessi nelle recenti dichiarazioni su Power of Siberia 2 (circa 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno, ndr), la quota della Russia nel crescente portafoglio di importazioni della Cina si attesterebbe tra il 27 e il 36%. La Russia rappresenterebbe il 16-17,6% del consumo totale di gas della Cina. Oltre a tutto ciò, ci sono dubbi sulla durata e sulla flessibilità quantitativa del potenziale contratto di compravendita. Dato che la maggior parte della spesa iniziale per la costruzione dell’oleodotto ricadrà su Mosca, è nell’interesse della Russia richiedere un contratto a lungo termine con la minima flessibilità”, sottolinea il rapporto. “Da un punto di vista economico, questo è simile all’acquisto di un immobile per affittarlo: il proprietario vuole che gli inquilini paghino regolarmente e per intero, e non vuole che l’immobile venga sgomberato subito dopo, soprattutto in assenza di altri potenziali inquilini”.

Morale, la strada è ancora lunga e la meta per nulla scontata. “I negoziati per il Power of Siberia 2 sono lenti e difficili. Mentre la Cina cerca la massima chiarezza sul suo futuro fabbisogno di gas, sta anche testando fino a che punto può spingere la Russia sul prezzo e su altre condizioni. Mosca continuerà probabilmente a gridare ai quattro venti di aver aggiunto un’altra importante pietra miliare sulla strada verso un accordo sul Power of Siberia 2. Ma come ci dice il filosofo greco Zenone, non importa quanto si sia vicini al traguardo: restano sempre un numero infinito di passi da compiere“.


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