Skip to main content

Un radar nel palmo di una mano. Così il racconto sul J35 è parte della narrazione strategica di Pechino

Per Pechino, creare cultura della difesa significa anche rinnovare il patto sociale. Dall’evoluzione tecnologica di certi armamenti passa anche il racconto della narrazione strategica cinese. Un sistema radar del caccia J-35 diventa così una leva per spiegare alle collettività le nuove capacità della Cina e il valore degli investimenti sulla difesa

Il Global Times dedica un’articolata analisi alla radar cross section (acronimo tecnico “RCS”) del caccia J-35, che “è più piccola di un palmo di mano, grazie allo speciale design della fusoliera e alle tecnologie metamateriali esclusive della Cina”. Il sito, con cui il governo di Pechino diffonde la sua narrazione strategica in inglese, riprende rivelazioni uscite oggi sui media ufficiali a proposito di uno dei modelli più tecnologici della panoplia militare dell’Esercito popolare di liberazione. Un modello destinato a colmare, almeno nel racconto, i gap con i più avanzati assetti occidentali (per esempio l’efficacissimo F35 di Lockheed Martin, di cui le forze armate Nato sono dotate). Un esperto spiega al GT che il nuovo sistema conferisce “capacità stealth world-class” al J-35, e questo permette “all’aereo da guerra cinese un vantaggio significativo”.

Quello che è importante non è tanto l’evoluzione tecnologica in sé, con Pechino che spesso annuncia risultati non ancora consolidati per corroborare informazioni altrettanto spesso fatte uscire ad arte, trapelate per attirare attenzione e creare deterrenza (ossia costruire un contesto psicologico in cui la Cina sembra una potenza militare globale reale, quando ancora le sue unità e i suoi mezzi non sono poi così prossimi a quelli occidentali, in primis americani). Quello che conta qui è il racconto, la spinta a una narrazione strategica che ha un obiettivo duplice e sovrapponibile. Da un lato serve per fini esterni legati a quel raccontarsi solida e capacitiva (ossia in grado di creare deterrenza), dall’altro ha come target il pubblico cinese.

Raccontando l’evoluzione tecnologica si parla infatti alle collettività che il Partito Comunista Cinese deve controllare per mantenere in piedi il patto sociale che lo sostiene al potere da decenni (e dovrà farlo per i decenni che verranno). L’RCS è qualcosa che nessuno conosce, dettaglio tecnico a cui accede una popolazione sotto all’1% (non solo in Cina). Ma esaltarne le tecnologie e la miniaturizzazione serve a dire che la Cina è una potenza tecnologica. E parte del patto sociale si base proprio in questo: il Partito dà ai cittadini (anche grazie all’evoluzione delle tecnologie) un livello di miglioramento della prosperità continuo, tale che i cittadini possano accettare (nell’ottica di un miglioramento constante delle condizioni di vita) delle contrazioni alle libertà individuali.

Di più: in una fase in cui la crescita cinese sembra rallentare, e dunque l’ascesa di quella nuova prosperità raggiungere un plateau – sintomo di un processo di crescita maturo, già affrontato al Terzo Plenum dello scorso anno – quello stesso patto sociale deve essere costantemente rinnovato e continuamente raccontato come in evoluzione. Che questo processo passi anche dall’industria militare è un altro elemento significativo: il Partito/Stato, nonostante il controllo apparentemente totale sulle collettività cinesi soffre la necessità di giustificare ai proprio cittadini il valore delle spese militari – sempre più necessarie per cavalcare le tempeste geopolitiche che il multipolarismo, teorizzato da Pechino stessa, potrebbe innescare. Ossia, alla stregua dell’Europa alle prese con il processo di riarmo, anche la Cina cerca di creare “cultura della difesa”, magari incastrando il racconto dei nuovi armamenti in mezzo alla narrazione strategica della crescita (tecnologica) ed evoluzione continua.


×

Iscriviti alla newsletter