Siamo davvero vicini a un accordo per fermare la guerra a Gaza? L’amministrazione Trump spinge per un’intesa entro l’anniversario dei due anni del “7 ottobre”, ma il governo Netanyahu ha sensibilità interne che potrebbero complicare le trattative. E poi c’è Hamas, che dovrebbe accettare la sua cancellazione
Quando Benjamin Netanyahu lunedì si siederà alla Casa Bianca per un incontro speciale con Donald Trump, il piano del presidente americano per porre fine al conflitto a Gaza sarà “alto in agenda”, secondo un funzionario dell’amministrazione statunitense informato sulle priorità dell’incontro. Trump punta a segnare l’anniversario dei due anni dall’attacco del 7 ottobre 2023 con un successo diplomatico, utile a rafforzare il racconto di una presidenza votata alla pace e, in prospettiva, al pallino del Premio Nobel.
I punti del piano americano
Il progetto dell’amministrazione Trump prevede 21 punti chiave. Al centro c’è la liberazione immediata di tutti gli ostaggi ancora detenuti da Hamas (circa 20 sarebbero vivi), entro 48 ore dall’accordo, in cambio di un ritiro graduale delle truppe israeliane dalla Striscia.
Il piano esclude qualsiasi ruolo futuro di Hamas nella governance di Gaza (elemento ormai unanime) e propone un’amministrazione ad interim su due livelli: un organismo internazionale e un comitato palestinese. Non è indicata una tempistica per il passaggio di consegne all’Autorità nazionale palestinese (Anp), la cui presenza a Gaza è da sempre osteggiata da Israele.
Il testo non sancisce un impegno americano alla creazione di uno Stato palestinese, ma riconosce questa come “aspirazione” del popolo palestinese. Prevede inoltre il divieto di qualsiasi espulsione forzata della popolazione di Gaza, dopo mesi in cui erano circolate ipotesi di “ricollocamento” dei due milioni di abitanti dell’enclave.
Il piano è stato discusso con diversi Paesi arabi — tra cui Qatar, Arabia Saudita, Egitto, Indonesia, Turchia e Pakistan — a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Secondo l’inviato speciale Steve Witkoff, un “breakthrough” sarebbe a portata di mano.
Le incognite sul tavolo
Resta da chiarire se Hamas sia stato formalmente investito della proposta: fonti a Doha hanno negato di aver ricevuto nuove offerte. La trasmissione del piano dovrebbe avvenire attraverso la mediazione del Qatar.
In Israele, l’accoglienza è tutt’altro che scontata. Netanyahu ha ribadito di voler continuare la guerra fino alla distruzione di Hamas. I ministri dell’ultradestra, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, hanno minacciato la caduta del governo se il conflitto dovesse essere interrotto senza la sconfitta totale del movimento islamista. Per loro l’obiettivo è l’occupazione integrale di Gaza e l’estensione della sovranità israeliana sulla Cisgiordania.
Al contrario, l’opposizione guidata da Yair Lapid ha garantito un “paracadute politico” a Netanyahu in caso decidesse di accettare un accordo sugli ostaggi e un cessate il fuoco, sottolineando che in Parlamento esiste una maggioranza favorevole.
Tra ambizione personale e realtà politica
Trump ha parlato di “negoziati ispirati e produttivi” e di un accordo “molto vicino”. Ma il divario resta ampio tra le ambizioni statunitensi — un “permanent and longlasting peace”, secondo la formula usata dal presidente — e la situazione sul terreno, con l’esercito israeliano impegnato in una nuova fase offensiva a Gaza City e oltre 90 vittime civili registrate solo nell’ultimo fine settimana.
Il piano appare quindi sospeso tra due livelli: da un lato il progetto politico di Trump, che intende rivendicare un ruolo storico nel conflitto israelo-palestinese; dall’altro le fratture profonde nella politica israeliana e l’incertezza sulla disponibilità di Hamas ad accettare qualsiasi compromesso.