Prevenzione, comunicazione e diagnosi precoce al centro delle politiche sanitarie sulle Ist. Dal nuovo Piano nazionale della prevenzione al Prevention Hub, Maria Rosaria Campitiello, capo dipartimento della Prevenzione (MinSal), illustra strategie e priorità
Con un’incidenza globale in costante aumento, i dati diffusi dall’Istituto superiore di sanità mostrano come le infezioni sessualmente trasmesse (Ist) siano in crescita anche in Italia, soprattutto tra i giovani, con un andamento in salita negli ultimi vent’anni interrotto solo dalla parentesi della pandemia da Covid-19. Un fenomeno che chiama in causa diagnosi precoce, educazione sanitaria e politiche di prevenzione. Healthcare Policy ne ha parlato per Formiche.net con Maria Rosaria Campitiello, capo dipartimento della Prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie presso il ministero della Salute.
Lei ha recentemente ricordato che “la prevenzione è il miglior farmaco”. In che modo il ministero della Salute sta rendendo la prevenzione il fulcro delle proprie politiche, e perché oggi questo approccio alla salute è divenuto cruciale?
Quando diciamo che la prevenzione è il miglior farmaco intendiamo che è la chiave per vivere meglio e più a lungo. Non si tratta di curare quando la malattia è già comparsa, ma di anticipare i rischi e proteggere la salute dei cittadini. L’obiettivo è trasformare il Servizio sanitario nazionale da sistema reattivo a sistema proattivo, capace di prevenire l’insorgenza delle patologie. Il ministero della Salute ha messo la prevenzione al centro delle proprie politiche perché ogni euro investito in questo ambito genera un risparmio triplo in termini di spesa sanitaria. Attualmente solo il 5% del Fondo sanitario nazionale è destinato alla prevenzione, ma l’impegno concreto è di portare questa quota almeno al 7-8%, in linea con gli standard europei.
Può dirci di più?
Assolutamente, un primo strumento fondamentale che abbiamo messo in campo è stato il Piano nazionale della prevenzione 2020-2025, che ha guidato le strategie di questi anni, ma siamo ormai in direzione d’arrivo per la stesura del nuovo Piano nazionale della prevenzione, che guiderà le strategie future. Ed è per questo che, lo ribadisco, la prevenzione, non è un costo, ma un investimento sul futuro: significa ridurre le disuguaglianze, migliorare la qualità della vita e rendere il nostro sistema sanitario più sostenibile.
Fra le priorità emergenti ci sono le infezioni sessualmente trasmesse. I dati più recenti dell’Iss segnalano un trend in aumento della diffusione Ist. Ad esempio, gonorrea (+83,2%), sifilide primaria e secondaria (+25,5%) e clamidia (+21,4%). In questo contesto, quanto è centrale la prevenzione e la diagnosi precoce, non solo per contenere la diffusione delle infezioni, ma anche per ridurre complicazioni e conseguenze a lungo termine?
I dati più recenti confermano che le infezioni sessualmente trasmesse stanno registrando un aumento significativo ed un segnale che non possiamo sottovalutare. La prevenzione e la diagnosi precoce sono centrali per almeno due motivi: da un lato, consentono di contenere la diffusione delle infezioni, riducendo il rischio di trasmissione soprattutto tra i più giovani, che spesso non hanno piena consapevolezza dei comportamenti a rischio; dall’altro, permettono di evitare complicazioni gravi e conseguenze a lungo termine come infertilità, problemi riproduttivi e maggior vulnerabilità ad altre infezioni.
Come si sta muovendo il ministero in questo senso?
Fra le attività intraprese dal ministero, vi è il rafforzamento della rete dei consultori familiari, promuovendo campagne di informazione mirate, dei percorsi di educazione alla salute sessuale nelle scuole e nelle università, e il sostegno alla ricerca clinica attraverso i progetti del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie. L’implementazione del Sistema di notifica delle malattie infettive (Premal) ha consentito di aumentare la tempestività e la semplicità dello scambio di informazioni, per attuare un attento monitoraggio dei casi. In parallelo, potenziamo i sistemi di sorveglianza epidemiologica con Iss e Regioni, per avere dati tempestivi e orientare meglio le politiche di intervento. Il messaggio che vogliamo trasmettere è chiaro: la salute sessuale è parte integrante della salute pubblica e investire in prevenzione significa proteggere la fertilità, il benessere individuale e la salute collettiva.
Anche alla luce della sua esperienza professionale e delle sue specializzazioni, ha sottolineato più volte come la prevenzione dell’infertilità sia una leva fondamentale per contrastare il calo demografico. In che modo le politiche di contrasto alle Ist e quelle per la salute riproduttiva possono dialogare e rafforzarsi a vicenda, per costruire un approccio davvero integrato?
Prevenzione dell’infertilità e contrasto alle infezioni sessualmente trasmesse sono come due binari della stessa ferrovia: solo se procedono insieme, paralleli e coordinati, il treno della salute riproduttiva può arrivare a destinazione. Le Ist non curate rappresentano infatti una delle principali cause di infertilità maschile e femminile. Per questo le politiche di contrasto alle infezioni, attraverso diagnosi precoce, counselling e informazione, non sono solo strumenti di sanità pubblica, ma diventano anche azioni dirette di tutela della fertilità. Allo stesso tempo, le campagne per la salute riproduttiva aiutano a diffondere una cultura della consapevolezza tra i giovani, che si traduce anche in una maggiore attenzione ai comportamenti sessuali responsabili.
Lo si potrebbe definire un gioco di rinforzi reciproci…
Esattamente, integrare questi due ambiti significa creare un circolo virtuoso: prevenire le infezioni protegge la fertilità, e promuovere la fertilità richiede anche prevenzione delle infezioni. Solo con questo approccio integrato possiamo rispondere con efficacia alla sfida del calo demografico e garantire alle nuove generazioni la possibilità concreta di scegliere se e quando diventare genitori.
Il sistema di sorveglianza sentinella evidenzia una crescita dei campioni analizzati nel 2023 pari a circa 15mila campionati (+23,1% rispetto al 2021), ma i numeri restano ancora molto bassi rispetto alla popolazione adulta. Quale ruolo attribuisce alla comunicazione e alla sensibilizzazione?
La promozione della salute si sviluppa attraverso l’acquisizione di informazioni utili per operare scelte a livello individuale che possano generare o preservare la salute. Prendendo in considerazione questi dati, voglio evidenziare che il vero punto cruciale non è soltanto l’offerta dei test, ma la comunicazione e la sensibilizzazione. La conoscenza è la prima forma di prevenzione: sapere come proteggersi, quando fare un test e quali rischi comporta trascurare una diagnosi significa mettere ogni persona nella condizione di agire responsabilmente per sé e per gli altri. Per questo la comunicazione è una leva fondamentale non solo per diffondere buone pratiche sanitarie, ma anche per abbattere barriere culturali, stigma e disinformazione che ancora circondano le malattie sessualmente trasmesse.
Come intende agire il Ministero per migliorare l’accesso ai test e superare le barriere culturali, stigma e disinformazione che ancora frenano la diagnosi precoce?
Attività quali campagne di comunicazione e/o interventi informativi, formativi ed educativi rivolti alla popolazione generale o a gruppi specifici, identificati sulla base della fascia di età (le persone giovani), dei comportamenti a rischio (quali Msm, persone che fanno uso di droghe) o del loro ruolo sociale (quali personale sanitario, insegnanti, giornalisti), possono fare davvero la differenza. Pertanto, il ministero della Salute intende agire con un approccio integrato: si deve partire dalle scuole, formando le nuove generazioni con programmi di educazione alla salute sessuale chiari, scientifici e privi di pregiudizi. È importante poi coinvolgere le famiglie, che sono il primo luogo in cui maturano valori e atteggiamenti, e i consultori familiari, che restano un presidio fondamentale di informazione e prevenzione sul territorio. Accanto a questo, rafforzeremo le campagne nazionali di comunicazione, utilizzando linguaggi e canali adatti ai diversi target, dai più giovani fino agli adulti, e favorendo un dialogo diretto con le comunità.
Sappiamo che il Prevention Hub, da lei definito “la casa della prevenzione” è un progetto a lei particolarmente caro. In che modo potrà diventare il motore di un approccio sistemico alla prevenzione delle Ist?
Il Prevention Hub rappresenta uno dei progetti più innovativi e strategici per il futuro della salute pubblica, con un finanziamento di circa 30 milioni di euro da fondi Pnrr. Al suo interno, sotto la guida del dipartimento della Prevenzione, ricerca ed emergenze sanitarie, sarà previsto uno spazio ampio e fortemente dedicato alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, con azioni mirate sia sul piano sanitario sia su quello comunicativo.
Quali iniziative concrete sono in programma per rafforzare screening e campagne mirate?
In primo luogo, saranno incentivati programmi di screening mirati, per garantire diagnosi sempre più precoci e intercettare tempestivamente i casi che altrimenti rischierebbero di emergere troppo tardi, con conseguenze cliniche e sociali più gravi. Accanto agli screening, il Prevention Hub promuoverà campagne di comunicazione dedicate, capaci di parlare linguaggi diversi a seconda dei target: dai giovani alle famiglie, dalle comunità più vulnerabili agli adulti. Perché informare significa rendere consapevoli, e un cittadino consapevole è un cittadino più libero nelle proprie scelte di salute. Un’altra innovazione sarà l’analisi dei dati sociali, cioè l’osservazione dei comportamenti e delle preferenze dei cittadini anche attraverso i social media, con l’obiettivo di comprendere meglio i determinanti di salute e orientare le politiche di prevenzione in modo più efficace e personalizzato. In questo modo, il Prevention Hub diventerà il motore di un approccio sistemico alla prevenzione delle Ist, integrando ricerca, monitoraggio, comunicazione e servizi sanitari. Non solo un luogo fisico, ma un ecosistema capace di trasformare la prevenzione in una pratica quotidiana e accessibile a tutti.
Il nuovo Piano nazionale per porre fine a Hiv, epatiti virali e Ist è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni, lo scorso aprile. A che punto è l’iter di approvazione? Può dirci quali saranno le priorità operative del Ministero una volta adottato?
Il uovo Piano è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni lo scorso aprile ed è attualmente in fase di confronto con Regioni e stakeholder; l’approvazione definitiva è attesa al termine di questo percorso. Una volta adottato, le priorità operative sono chiare: promuovere l’utilizzo di strumenti di prevenzione e interventi finalizzati alla modifica dei comportamenti, di strumenti farmacologici quali la pre-exposure prophylaxis (Prep), le vaccinazioni che sono un pilastro della prevenzione primaria; potenziare il testing e la diagnosi precoce con modalità più accessibili e veloci; garantire la presa in carico e l’accesso alle terapie delle persone con infezioni, anche attraverso l’elaborazione di Pdta regionali, che tengano in considerazione eventuali criticità e specificità legate alla realtà locale; costruire reti territoriali integrate tra servizi sanitari e comunità.
E, invece, sul fronte stigma e disinformazione?
Un obiettivo prioritario sarà proprio il contrasto allo stigma nei contesti sanitari, promuovendo una maggiore integrazione tra i servizi dedicati alle malattie trasmissibili e non trasmissibili. Questo impegno si tradurrà in campagne di comunicazione mirate – con particolare attenzione ai giovani – e nell’attivazione di programmi di screening specifici per le fasce più vulnerabili della popolazione, come detenuti, migranti, utenti dei servizi per le dipendenze (SerD) e donne in gravidanza. La disinformazione alimenta stigma e discriminazione. Per questo è essenziale diffondere conoscenze scientificamente fondate in tutti gli ambiti, dalla comunità ai servizi sanitari, al fine di combattere i pregiudizi legati alle infezioni sessualmente trasmissibili. I professionisti della salute devono assumere un ruolo centrale nella promozione di queste informazioni, collaborando attivamente con le comunità per costruire un ambiente più inclusivo e consapevole.Il piano si fonda su una visione integrata della salute, orientata a coniugare prevenzione, assistenza e inclusione sociale.
Comunicazione ed educazione rivestono un ruolo importante, in che modo si muove il ministero della Salute in coordinamento con altri dicasteri, penso, ad esempio a quello dell’Istruzione, per rafforzare l’educazione sanitaria e le politiche di prevenzione in ambito Ist?
Comunicazione ed educazione sono i pilastri fondamentali della prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse. Già dal 2015 è attiva la collaborazione tra il ministero della Salute e quello dell’Istruzione per promuovere percorsi educativi inclusivi e bastai su evidenze scientifiche. Perché è proprio dalle scuole che bisogna partire se vogliamo formare cittadini più coscienti e consapevoli. Parlare di prevenzione fin dall’adolescenza significa gettare le basi per adulti più informati, capaci di fare scelte responsabili per la propria salute e quella della collettività. È essenziale che tutti conoscano i rischi legati a queste malattie, ma sappiamo che i più esposti sono soprattutto i giovani. Per questo dobbiamo informarli in modo chiaro e senza tabù, spiegare loro quali siano i principali comportamenti a rischio e quali invece le strategie più efficaci per proteggersi: dall’uso dei metodi di barriera, ai programmi di screening periodici, fino alla possibilità di accedere a test specifici per individuare precocemente eventuali infezioni.
Questa visione è già al centro del Piano nazionale della prevenzione 2020-2025, che dedica ampio spazio alla salute sessuale e alla prevenzione delle Ist. Vogliamo rafforzare queste azioni con campagne mirate e percorsi educativi strutturati, capaci di raggiungere i più giovani nei luoghi dove crescono e si formano: scuole, università, spazi di socialità e, naturalmente, anche i canali digitali. Solo così possiamo costruire una cultura della prevenzione solida e condivisa, in grado di abbattere stigma e disinformazione, ridurre il peso delle infezioni sessualmente trasmesse e consegnare alle nuove generazioni gli strumenti per vivere una vita più sana e consapevole.