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Dopo la Moldavia, occhi su Praga. Così Mosca tenta di condizionare le elezioni ceche

Alla vigilia del voto del 3 e 4 ottobre, la Repubblica Ceca è nel mirino di campagne ibride per seminare sfiducia e polarizzare il dibattito. Sullo sfondo, la sfida tra Petr Fiala, premier filo-Ue e pro-Kyiv, e Andrej Babiš, populista in testa ai sondaggi pronto a riallineare Praga agli amici Orbán e Fico. Per il Cremlino un’occasione strategica per incrinare l’unità europea sul fronte ucraino

Diversa dalla Moldavia, ma altrettanto strategica, la partita che si gioca intorno alla tornata elettorale di Praga. Paese Nato e Ue da oltre vent’anni ma attraversato, oggi, da un’ondata di disinformazione senza precedenti. Secondo il think tank investigativo Voxpot, più di 5.000 articoli al mese, tradotti o prodotti localmente, rimbalzano sui siti cospirazionisti, rilanciando narrazioni del Cremlino. A pochi giorni dalle urne, il premier Petr Fiala (centrodestra, pro-Ucraina, promotore di una iniziativa europea per fornire munizioni a Kyiv) è incalzato dal miliardario populista Andrej Babiš. L’ex premier, oggi in testa ai sondaggi, promette “pace con la Russia”, critica le spese militari e ammicca a Orbán e Fico, gli alleati più filoputiniani all’interno del Consiglio europeo. E lo scenario post-elettorale rischia di diventare ancora più complesso, Babiš potrebbe cercare l’appoggio dei partiti estremi, la coalizione Stacilo (estrema sinistra) ed i sovranisti di SPD (estrema destra), entrambi favorevoli a un referendum su Nato e Ue.

Telegram agents, deepfake e sabotaggi

Rapporti del Bis (i servizi di sicurezza interni cechi) chiariscono lo scenario. La Russia rimane la minaccia persistente numero uno. Mosca cerca di reclutare Telegram agents, individui attratti da facili guadagni online e incaricati di piccoli atti di sabotaggio, in poche parole: spie usa e getta. Nel 2024 un cittadino colombiano ha incendiato un autobus a Praga, mentre altri hanno spedito pacchi incendiari. Il fine non è solo materiale, ma, ancora una volta, psicologico. Instillare paura, frammentare la società, minare la fiducia nelle istituzioni.

Non mancano poi le operazioni di influenza più sofisticate. Dopo aver smantellato la rete di “Voice of Europe” a Praga, legata all’oligarca ucraino filorusso Viktor Medvedchuk, la Bis ha rilevato come Mosca continui a usare media camuffati, Chiesa ortodossa russa e perfino il cripto-finanziamento di giornalisti locali per diffondere messaggi anti-Ue.

La dimensione cyber si aggiunge agli strumenti di interferenza. Gruppi come APT28 (Gru) hanno colpito istituzioni ceche e infrastrutture Nato sfruttando vulnerabilità informatiche, tanto da spingere Praga a coordinarsi con Berlino e Bruxelles in un’operazione congiunta (Dying Ember) per bloccarli.

Il rischio tecnologico emergente è esponenziale ed utilizza l’intelligenza artificiale e i deepfake come armi di distrazione di massa. Contenuti manipolati a basso costo e video artefatti entrano sempre più nelle campagne elettorali, rafforzando la capacità di Mosca (e non solo) di seminare caos. La destabilizzazione del dibattito pubblico ceco si articola attraverso una duplice strategia. La prima, aggressiva e multicanale, che passa da canali Telegram come neČT24 e reti automatizzate come Pravda Network; la seconda con un approccio più graduale, fatto di soft power, campagne su TikTok e operazioni di cyber-spionaggio.

Un’infodemia che lavora sul sospetto

Il punto di forza della strategia è la semplicità. Sfruttare crepe preesistenti, sfiducia verso la classe politica, timori economici, stanchezza per la guerra, e amplificarle. La controversa introduzione della votazione postale per i cittadini all’estero, ad esempio, è stata trasformata in un cavallo di Troia narrativo che alimenta teorie di frode e delegittimazione. In tale atmosfera, anche errori tecnici o accuse senza prove possono assumere peso sproporzionato.

Il voto

Alla vigilia del voto del 3-4 ottobre, anche la Repubblica Ceca si ritrova al centro di una campagna disinformativa già in atto, con una marea di contenuti tossici che ogni giorno inonda lo spazio digitale e la dieta informativa ceca.

Non tutto è perduto, il meccanismo russo si può contrastare  con una macchina elettorale basata su schede cartacee e conteggi decentralizzati, un tessuto di fact-checking attivo (Demagog.cz, Cedmo e altre realtà civiche), e istituzioni (Nukib, Bis) che monitorano, analizzano, comunicano e avvertono. Per essere efficaci servono due condizioni: coordinamento rapido tra istituzioni e società civile, e regole chiare sulle piattaforme digitali per limitare l’amplificazione industriale della disinformazione.

Se Babiš tornasse al potere, si troverebbe accanto a Orbán e Fico, gli altri leader europei più indulgenti verso Putin. Per Mosca sarebbe un successo strategico, capace di incrinare l’unità dell’Ue sul dossier ucraino.

Il capo di Stato Maggiore ceco, generale Karel Řehka, ha sintetizzato così la tensione: “Su una scala da uno a dieci, dove uno è pace e dieci è guerra, siamo già vicini all’otto”. In altre parole, il Cremlino non ha bisogno di utilizzare carri armati – questa volta – per influenzare Praga. Basta manipolare gli algoritmi, sfruttare le crepe interne e inoculare il dubbio che le elezioni non siano pulite.


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