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Il mito del pacificatore. Cosa guida la politica estera di Trump secondo Maggi

“Lui usa questi espedienti per conquistare i titoli dei giornali, per diventare un personaggio imprescindibile sulle questioni internazionali, il campione smodato e sboccacciato dell’America che non è attento alle regole della buona e corretta diplomazia, ma che guarda al sodo da una posizione di prepotenza”. Intervista Glauco Maggi, giornalista e autore di due libri sul Tycoon, raggiunto da Formiche.net a New York

Donald Trump, nel suo ritorno alla Casa Bianca, ha scelto di giocare la carta della Storia. Non più soltanto il leader divisivo e impulsivo, ma l’uomo che vuole passare ai libri di testo come il pacificatore capace di risolvere i conflitti più intricati: dal Medio Oriente all’Ucraina. Un approccio che mescola pragmatismo, provocazione e calcolo politico, come emerge dall’intervista di Formiche.net con Glauco Maggi, giornalista e autore di due libri sul Tycoon, “Il Guerriero Solitario” pubblicato nel 2020 e “Trump – La Rivincita” pubblicato nel 2024.

Che giudizio dà di questi primi mesi di politica estera di Trump?

Prima della sua rielezione, avevo dichiarato che in caso di vittoria più che a vendicarsi Trump si sarebbe dedicato a costruirsi un ruolo da pacificatore, una figura da premio Nobel della pace, come vuole d’altronde essere. Sul suo non vendicarsi mi sono sbagliato, ma sull’altro punto ci avevo visto giusto immaginandomi un’aspirazione a una presidenza storica che rimanesse sui libri di testo per i suoi successi. Per raggiungere i quali vuole impiegare la sua intelligenza “fuori dagli schemi” per capire la situazione e pensare a soluzioni, sfruttando la sua convinzione per trascinare dietro di sé gli altri leader. Questa chiave deve essere impiegata per interpretare sia il comportamento di Trump rispetto all’Ucraina che rispetto al Medio Oriente.

Partiamo da quest’ultimo caso…

Trump è riuscito a convincere i “Paesi ragionevoli” dell’arco Egitto-Giordania e quelli degli accordi di Abramo della necessità della guerra senza limiti e senza timori con l’Iran, dell’azione per distruggere in profondità le infrastrutture nucleari e ritardare di almeno dieci anni il programma nucleare di Teheran. E anche su Gaza la linea è stata la stessa, con Trump che ha conquistato Netanyahu, che se adesso nel piano dei 20 punti ha accettato di sfidare Hamas e di vedere le carte di Hamas fino in fondo, lo ha fatto perché Trump ha costruito un rapporto “estemporaneo” nel suo modo. Anche con l’espediente della sparata della riviera di Gaza.

Che intende?

Lui usa questi espedienti per conquistare i titoli dei giornali, per diventare un personaggio imprescindibile sulle questioni internazionali, il campione smodato e sboccacciato dell’America che non è attento alle regole della buona e corretta diplomazia ma che guarda al sodo da una posizione di prepotenza, perché è innegabile che sia prepotente quando prende queste posizioni. Come ad esempio quando spinge gli europei a pagare per le spese della difesa, in totale controtendenza rispetto alle presidenze di Biden e di Obama, durante le quali l’America stancamente portava avanti una leadership che non guardava ai conti e ai veri rapporti di forza. Che tra l’altro sono quelli per cui oggi, con la volontà espresse di armarsi, gli europei volenti o nolenti hanno conquistato un potere e anche una coscienza di sé che non avevano, poiché si crogiolavano nella condizione di essere protetti dagli Usa nell’assetto che è stato costruito alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Torniamo a Gaza…

Tornando a Gaza, la battuta sulla riviera è altrettanto simbolica di questo modo di operare, abbiamo assistito a decine di commenti e critiche sulla volgarità di immaginare la sistemazione di Gaza come di una sistemazione immobiliare fatta possibilmente per far guadagnare la Trump Organization e la sua famiglia, o almeno l’America. Era palesemente una provocazione, personalmente ho da tempo imparato a prendere seriamente le affermazioni, i programmi espressi o le battute di Trump per il contenuto, ma non letteralmente per quanto dice. Infatti non c’è un piano per la riviera di Gaza, ma c’è un piano molto articolato, che a me pare un piano serio. Non ho speranza sul fatto che Hamas lo accetti subito, perché sarebbe un suicidio, ma lo accetterà. Anche perché Trump ha rafforzato le sue relazioni col mondo arabo, non isolando Israele ma isolando Hamas, a cui ha tolto l’ossigeno che veniva da Teheran, così come lo ha tolto a Hezbollah e agli Houthi. Da questo punto di vista non stupisce che lo stesso Qatar prema per accettare una cosa che pochi mesi fa Hamas non avrebbe mai potuto accettare.

Passiamo all’Ucraina. Come vede l’approccio trumpiano al riguardo?

Con Trump lì il cambio è stato ancora più visibile. Non dimentichiamo che il fronte del Maga era insidiato, come tutta l’Europa, da una prevalenza di un pensiero pro-putiniano, ma oggi non è più così. Da quando, in uno dei suoi pochissimi momenti di autocritica, Trump ha dichiarato di essere deluso da Putin, quel Putin di cui si fidava e di cui si considerava un amico, ha fatto una presa d’atto onestamente inattesa da parte sua. E infatti adesso si parla di Tomahawk, si parla addirittura di consentire, cosa che aveva negato Biden e quelli che si dicevano i più duri contro la Russia, l’uso dei missili ben all’interno della Russia. Prese di posizioni destinate a cambiare il rapporto con Putin. Trump ha fatto capire che non può essere più attaccato al filoputinismo, anche quando dice agli europei “non comprate più il petrolio dalla Russia”, lancia un messaggio forte. E, come dicevamo, lo fa con un obiettivo che può suonare “storico”, cioè quello di porre fine alla guerra tra Ucraina e Russia, ma anche finanziario ed economico, perché ha ben chiare le conseguenze economiche e finanziarie di una pace sul fronte Ucraina-Russia.

E sulla connotazione religiosa della presidenza di Trump cosa ci può dire? Poche ore fa è stato pubblicato un messaggio presidenziale in occasione delle celebrazioni di san Michele arcangelo, messaggio dai toni marcatamente religiosi. Questa componente “fondamentalista” è sempre stata così forte o è stata esacerbata dall’omicidio di Charlie Kirk?

Anche nel primo mandato c’erano state forti prese di posizione da parte di Trump su questi temi. Era stato lo stesso Trump, ad esempio, che aveva partecipato per la prima volta come presidente alla celebrazione annuale a Washington del movimento per la vita. Sicuramente l’omicidio di Kirk ha avuto un peso, anche perché credo che Trump avesse bene in mente, e ha tuttora bene in mente, di rappresentare “politicamente” il cristianesimo degli evangelici e anche dei cattolici in America. Il cristianesimo cinico, o meglio utilitarista, di Trump è un dato ormai storico e indiscutibile. Anche la scelta di J.D. Vance come vicepresidente si colloca in questo solco. Penso che lui sappia e voglia distinguere anche tra la parte del tradizionalismo cristiano più retrogrado e quello più moderno. Non sceglie il patriarca Kirill, consigliere di Putin, quanto piuttosto Tony Blair.


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