Due conflitti alle porte dell’Europa e la pressione della Cina sull’economia del Vecchio continente hanno riscritto alcune delle priorità del Piano di resilienza nato con la pandemia. Per questo secondo il vicepresidente della Commissione europea oggi avere più spazio di manovra nel mettere a terra gli investimenti può fare la differenza. L’Italia, comunque, marcia spedita e si prepara a incassare l’ottava rata
L’Italia viaggia a vele spiegate verso la messa a terra del Pnrr. L’allora ministro per gli Affari Europei, Raffaele Fitto, lo aveva detto due anni tondi tondi fa. Ora che Fitto è alla Commissione europea, in veste di vicepresidente, la profezia si sta avverando. Con una differenza: la scadenza naturale fissata per metà 2026 ha cominciato a stare stretta da tempo a molti Paesi destinatari delle risorse, Italia inclusa. Non è un caso che proprio Roma, che nella tabella di marcia europea è tra i primi Paesi per rate incassate e impegni mantenuti in ambito di Pnrr, abbia chiesto all’Europa una maggiore flessibilità sulle scadenze del Piano.
Una battaglia fatta proprio da Fitto, intervenuto in occasione della presentazione del Rapporto di previsione del Centro studi di Confindustria, a Roma. Proprio nelle ore in cui il governo ha annunciato il pagamento da parte di Bruxelles dell’ottava rata, entro il mese di novembre. Quando fu pensato il Pnrr, c’era ancora la pandemia, l’Europa non aveva ancora fatto i conti con gli effetti devastanti della guerra in Ucraina, della crisi energetica scaturita dalla fine dei rapporti con la Russia e del conflitto in Medio Oriente. Le carte sul tavolo sono cambiate e il Pnrr non è certo immune da tali stravolgimenti.
Fitto ha sottolineato proprio questo punto. “La flessibilità nel bilancio Ue e nei piani di ripresa dei singoli paesi è importante per adattarsi alle diverse condizioni esterne. In questo quadro, il nuovo bilancio Ue, per con elementi nuovi rispetto al passato definisce chiaramente il ruolo delle Regioni. La revisione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza non è solamente un correggere delle scelte di 3, 4, 5 anni fa, anche per certi versi discutibili, ma è anche un modo per renderle flessibili a quelli che sono gli scenari che abbiamo di fronte”, ha detto Fitto, sottolineando che “la rigidità dei bilanci costituisce, soprattutto per il mondo delle imprese, un limite enorme, perché noi non possiamo assistere e compiere delle scelte per alcuni anni senza modificarle quando il mondo cambia in poche settimane”. Insomma, non è pensabile immaginare un Pnrr che non si adatti a nuovi equilibri geopolitici e dunque, anche economici.
E ancora, “le risorse assegnate (del Pnrr, ndr) sono risorse che confermano la loro dimensione, so che c’è molto dibattito su questo, ma il piano nazionale e regionale da una parte ha una dimensione nazionale, ma anche una valutazione regionale. Il ruolo delle Regioni è ben definito all’interno del regolamento che accompagna il bilancio, perché sono salvaguardati non solo i principi della politica delle Regioni, non solo i ruoli delle Regioni, ma anche le diverse categorie delle Regioni”, ha specificato Fitto. E che la messa a terra di quel che rimane del Pnrr sia i viatico per l’Italia, per provare a resistere alla pressione delle grandi economie, a cominciare da quella cinese, ne è convinta anche la stessa Confindustria. Per la quale “l’implementazione del Pnrr, che include investimenti pubblici, riforme, incentivi, avrà un impatto molto positivo sulla crescita del Pil nel biennio di previsione: tra 2025 e 2026 le risorse programmate ammontano a circa 130 miliardi”.