Skip to main content

Bene le alleanze, ma ora Schlein deve mettere mano al Pd. Parla Ignazi

Quella nelle Marche non è una sfida decisiva, è una delle tante. Il campo largo è l’unica soluzione possibile per un’alternativa di governo e tentare di scardinare il centrodestra. Ora Schlein dopo aver perseguito l’unità a tutti i costi in maniera lodevole, deve mettere mano agli equilibri interni del partito. Colloquio con il politologo Piero Ignazi

Le Marche come primo banco di prova, la Calabria come appuntamento imminente e, sullo sfondo, un autunno elettorale che si preannuncia fitto di passaggi cruciali. La partita politica si gioca sui territori, ma con implicazioni nazionali evidenti. Tanto che i leader di entrambi gli schieramenti stanno facendo comizi su comizi per sostenere questo o quel candidato. Lo schema che si delinea è quello di una destra capace di scegliere il campo da gioco più favorevole e di un centro-sinistra che cerca la via dell’unità, pur tra difficoltà interne e mancanza di elaborazione strategica. Formiche.net parlato con Piero Ignazi, politologo di lungo corso, che offre una lettura delle dinamiche in atto.

Professor Ignazi, partiamo dalle Marche: che tipo di segnale arriva da quel voto?

Sono meno convinto che quelle delle Marche siano state una prova convincente. È stata una delle prime prove, come già in Sardegna dove si era tentato di mettere insieme capre e cavoli. Nel primo caso fallito, nell’isola riuscito. Il punto è che le Marche solo l’inizio di una serie di altri appuntamenti.

Una serie di prove che sembrano giocate su un terreno scelto dal centrodestra. Non conviene?

Non a caso la destra ha fatto in modo che si votasse nei territori preferiti, per dare spinta alle proprie sorti. L’obiettivo era e resta quello di alimentare l’idea di una coalizione sempre vincente.

Quali tendenze generali emergono da queste prime tornate?

Si conferma una netta distinzione, che non riguarda solo l’Italia ma tutto l’Occidente: nelle aree urbane vince la sinistra, nei territori rurali e nelle aree interne vince la destra. È una costante. Perché nelle città si concentrano le persone con più istruzione, le professioni più rilevanti, i maggiori scambi e consumi culturali. Questo è un elemento strutturale.

Eppure, la sinistra storicamente si presentava come rappresentante degli “svantaggiati”. 

Appunto. Oggi la sinistra procede con queste situazioni favorevoli — le aree urbane — ma non riesce più a rappresentare i ceti marginalizzati. Avrebbe la possibilità di rivolgersi a componenti più dimenticate, riscoprendo un po’ il suo passato. Al centrosinistra manca un’elaborazione culturale che consenta di costruire un’idea di trasformazione della società.

In questo quadro, come si colloca la destra?

La destra nelle aree interne vive attaccata alla conservazione, a una narrazione dell’“Italia dimenticata”. È un terreno su cui è riuscita a costruire consenso. Toccherebbe alla sinistra interrompere questa dinamica, offrendo un’alternativa credibile.

E il Partito democratico?

Il Pd è stato il partito di governo per definizione nella Seconda Repubblica. L’ha pagata cara, perché si è dovuto piegare a molte cose che non erano nelle sue corde, oltre al turbinio renziano. Il popolo, quando ha votato Fratelli d’Italia, non ha votato una classe politica di governo, ma una forza di opposizione che prometteva rottura.

La segretaria Elly Schlein ha puntato molto sulla costruzione di un fronte comune delle opposizioni. Il testardamente unitari è una strada realmente percorribile come alternativa di governo?

Schlein si è concentrata disperatamente nel creare le condizioni per una coalizione, ed è un lavoro lodevole. Ma non ha dato la stessa attenzione all’interno del partito. Manca ancora un lavoro di ricomposizione interna, che restituisca centralità agli amministratori, anche se spesso hanno uno sguardo più limitato.

Quindi il centrosinistra resta in una posizione fragile?

La strada testardamente unitaria è l’unica percorribile per provare a scardinare l’egemonia del centrodestra. Tutte le indagini lo confermano: il Paese è diviso a metà. E, secondo me, non potrà andare sempre bene a Meloni.


×

Iscriviti alla newsletter