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Incursioni aeree, attacchi ibridi e faglie Est-Sud. Cosa è emerso dal Consiglio europeo di Copenhagen

Il Consiglio europeo informale di Copenhagen ha mostrato un’Europa che, pur allarmata dagli attacchi ibridi dell’ultimo mese, non rinuncia a dividersi. Tutti concordi sulla nuova priorità della Difesa, ma per i finanziamenti la discussione si rimanda a data da definirsi. Il Fianco Est resta in cima alla lista e si valuta una maggiore inclusione delle industrie mediterranee sui programmi congiunti, dal muro di droni allo scudo aereo, mentre si stabilisce un nuovo corso per il Consiglio in formato difesa. Ma i dubbi, soprattutto legati ai tempi e alle modalità decisionali, rimangono

La successione senza precedenti di “incidenti” legati ai droni e alle violazioni dello spazio aereo europeo ha scosso le cancellerie europee, più di quanto ci si sarebbe aspettati. Benché non sia ancora possibile ricondurre la totalità degli eventi a una matrice russa e un’azione diretta da parte di Mosca, la vulnerabilità dello spazio aereo continentale e delle sue infrastrutture critiche emersa in queste settimane ha messo sul chi vive i leader dell’Unione europea, i quali hanno infranto il rigido protocollo comunitario per incontrarsi anticipatamente in una Copenhagen blindata (e costellata di difese anti-drone) per discutere della sicurezza dell’Europa. Poco lo spazio dedicato al supporto all’Ucraina durante la discussione, che è stata monopolizzata dal tema della Difesa. Trattandosi di un Consiglio informale, i capi di Stato e di governo non hanno potuto assumere decisioni vincolanti (per quello si attende l’incontro ufficiale del 23-24 ottobre), ma le posizioni emerse durante il vertice raccontano un’Europa che, pur spaventata, non rinuncia alle sue abituali divisioni e ai mezzi accordi. 

I temi del vertice

Dal muro di droni proposto dalla Commissione europea al rafforzamento del Fianco Est, passando per il sempre delicato tema dei finanziamenti, l’agenda dell’incontro è stata dominata dal senso di urgenza espresso in particolar modo dagli Stati nord-orientali dell’Unione. Qui si è riproposta una vecchia faglia delle discussioni europee, con i Paesi mediterranei (Italia e Spagna sopra tutti) che, pur ammettendo che il Fianco Est rappresenta a oggi la prima priorità, avvertono sul rischio di ignorare le minacce provenienti da Sud. Quella delle diverse priorità tra Est e Sud è una vecchia storia europea (e atlantica): finora i vari attori si sono arroccati sulle loro posizioni, dando vita a una spontanea ripartizione delle competenze a seconda della posizione geografica. Un punto importante su cui si è concordato sarebbe l’esigenza di intendere le minacce alla sicurezza europea come comuni e indivisibili. Da qui l’idea di un coinvolgimento più ampio delle industrie della difesa dei Paesi del Sud nelle varie iniziative che maggiormente interessano ad Est, dal muro di droni alla difesa aerea stratificata. 

Altra faglia non inaspettata è stata quella sui finanziamenti. Se da un lato nessuno mette più in discussione la necessità di aumentare le risorse destinate alla difesa e alla sicurezza, dall’altro la discussione resta prigioniera della contrapposizione tra chi insiste sulla responsabilità primaria dei bilanci nazionali e chi spinge per un meccanismo comunitario più solido. Qui, più che Est-Sud, la divisione è quella abituale tra Nord e Sud, con i Paesi cosiddetti frugali non favorevoli all’emissione di bond comuni mentre gli Stati meridionali fanno i conti con le limitazioni loro imposte dai rispettivi debiti pubblici. Per ora, ci si muove nelle solite zone grigie, quelle che già hanno portato alla formula 650+150 miliardi del programma ReArmEU e che prevedono sforzi prevalentemente nazionali supportati da strumenti, ad adesione volontaria, di prestito garantiti dalle istituzioni comunitarie. Un compromesso che, per il momento, accontenta tutti ma non soddisfa davvero nessuno. Tema rinviato a data da destinarsi. Di nuovo. Sul fronte ucraino e sull’allargamento, anche qui la sensazione è stata di un nuovo rinvio. La questione è rimasta al margine, principalmente a causa del veto ungherese, che continua a condizionare ogni discussione sull’ingresso di Kyiv nell’Unione.

Cosa si è raggiunto

In un incontro che ha sostanzialmente riconfermato posizioni già note e contrapposizioni di lungo corso, c’è stato uno sviluppo che rappresenta una (piccola) novità. Il Consiglio dei leader ha infatti deciso che d’ora in poi le riunioni del Consiglio dei ministri della Difesa dell’Unione diventeranno più frequenti e che il format verrà portato fuori dall’ombra del Consiglio Affari Esteri, di cui finora era considerato praticamente un’appendice secondaria. Si tratta di uno sviluppo che, pur avvenendo nella tipica lentezza dei riti comunitari, segna un cambio di passo importante. L’emancipazione dal format Esteri, in particolare, potrebbe essere foriera di una maggiore autonomia per decisioni di carattere industriale e relative all’armonizzazione delle strategie nazionali di difesa. Il paradosso è che non si sa che ruolo giocherà in questo senso il commissario per la Difesa e lo Spazio, il lituano Andrius Kubilius, figura creata appena un anno fa e che ancora fatica a trovare collocamento in un’Europa che continua a non contemplare una riforma della sua struttura istituzionale per quanto concerne la Difesa. Però si tratta comunque di una prima volta. Finora tale decisione non era mai stata presa per non dare luogo a “inutili duplicazioni” con la Nato. Duplicazioni che, a parere dei capi di Stato e di governo, ora non sarebbero più così inutili.

 


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