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Gaza, così cresce il consenso per il piano Trump (con i Carabinieri sul campo)

Nel 1998 Blair lavorò ad un accordo di pace nell’Irlanda del Nord e dopo venne scelto come inviato di pace in Medio Oriente per la comunità internazionale. Il suo ruolo sarebbe di gestire in maniera operativa il “Consiglio per la Pace”, presieduto dallo stesso presidente degli Stati Uniti assieme ad altri leader “molto illustri” di altri Paesi e contando su una forza operativa sul territorio: qui entrerebbero in scena i Carabinieri italiani, che già in passato hanno dato ampie garanzie su terreni complessi simili (quindi non “offerti” da Roma, ma in qualche modo richiesti alla luce del loro background)

Un puzzle che, fisiologicamente, per comporsi in maniera corretta necessita di vari incastri, ma che al momento già vede uno scheletro attuativo. Come la presenza dell’ex-premier inglese Tony Blair, un gruppo di controllo operativo su Gaza, l’opzione Italia con i Carabinieri a recitare un possibile ruolo attivo. In venti punti si trovano la fine immediata delle ostilità, il rilascio di tutti gli ostaggi, la non annessione della Striscia e la possibilità per i cittadini di Gaza di non andar via.

Nel 1998 Blair lavorò ad un accordo di pace nell’Irlanda del Nord e dopo venne scelto come inviato di pace in Medio Oriente per la comunità internazionale. Il suo ruolo sarebbe di gestire in maniera operativa il “Consiglio per la Pace”, presieduto dallo stesso presidente degli Stati Uniti assieme ad altri leader “molto illustri” di altri paesi e contando su una forza operativa sul territorio: qui entrerebbero in scena i Carabinieri italiani, che già in passato hanno dato ampie garanzie su terreni complessi simili (quindi non “offerti” da Roma, ma in qualche modo richiesti alla luce del loro background).

Sostegno al piano è arrivato da tutte le principali potenze regionali e dai principali stati islamici del mondo, eccetto l’Iran. Pollice in su anche da Bruxelles, che per bocca di Kaja Kallas, Alto rappresentante Ue per gli Esteri, accoglie con favore l’impegno di Trump per porre fine alla guerra, “garantendo un cessate il fuoco immediato e il rilascio di tutti gli ostaggi rimasti, nonché l’assicurazione di una piena assistenza umanitaria alla Striscia con un ruolo centrale per le Nazioni Unite e le sue agenzie, tutti elementi che da tempo costituiscono priorità fondamentali per l’Ue “. In questa direzione va l’appello europeo ad Hamas ad aderire al piano, a rilasciare tutti gli ostaggi rimanenti e a deporre le armi. “Non esiste una soluzione militare a questo conflitto”.

Lo stesso ministro della difesa Guido Crosetto ha definito il “Trump’s plan for Gaza” come “l’unica speranza che in questo momento abbiamo per raggiungere l’obiettivo della pace e della fine della guerra”. Certamente avrà bisogno della congiuntura astrale perfetta, come ad esempio il raggiungimento di obiettivi simultanei come “poter far mangiare i bambini, smettere di vedere morire uomini, donne, innocenti”, aggiungendo che tra l’altro il nesso tra il piano di Trump per Gaza e la fine della guerra, è un passaggio “che deve interessare a tutta l’umanità e a tutti i Paesi”.

Di pari passo cresce anche il sostegno internazionale al Piano: Yasser Abu Shabab, leader della milizia popolare anti Hamas a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza ha manifestato il suo gradimento con messaggio rivolto in arabo e in inglese al presidente statunitense. Si tratta di un personaggio che non solo è stato centrale nelle dinamiche locali, ma che potrebbe avere un ruolo nel futuro della striscia anche dopo le operazioni contro le strutture di Hamas nella zona. Di contro anche l’Egitto sta premendo non poco su Hamas perché accetti il piano del presidente statunitense: è stato il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdel Aati, a spiegare che il Cairo sta collaborando con Qatar e Turchia aggiungendo che “è evidente che Hamas deve deporre le armi” e che “non si dovrebbe dare a Israele alcuna scusa per continuare il suo attacco”.


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