La votazione dell’altro giorno in Parlamento ha visto la convergenza delle forze politiche anche di opposizione che hanno optato per l’astensione sui documenti passati dopo le comunicazioni del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Nel merito del piano Usa per Gaza, che rappresenta l’unica via per la pace, ci sono però ancora tante lacune in particolare sul versante palestinese. Colloquio con la deputata del Pd Lia Quartapelle
Convergenze difficili. Ma pur sempre convergenze. In parlamento sono passati i documenti relativi al piano americano per Israele e Hamas e dopo che l’organizzazione terroristica ha accettato di liberare gli ostaggi del pogrom del 7 ottobre 2023, il dibattito politico italiano ha registrato un passaggio inedito: attorno alle parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani, definite “misurate” da più parti, si è creata una convergenza tra le forze parlamentari sulla questione mediorientale. Per Lia Quartapelle, deputata del Partito democratico e da anni attenta osservatrice delle dinamiche mediorientali, si tratta di un segnale incoraggiante. Anche perché proprio l’area riformista ha lavorato affinché le forze di opposizione non si opponessero durante la votazione ma che optassero per l’astensione. Nel merito però, avverte, il piano promosso da Washington resta “incompleto”, soprattutto sul fronte palestinese.
Quartapelle, come valuta il dibattito parlamentare che si dell’altro giorno?
Il Parlamento ha discusso del piano statunitense e più in generale della situazione in Medio Oriente. Mi sembra che il ministro Tajani abbia usato parole misurate e appropriate, che hanno favorito una convergenza delle forze politiche. Non è un fatto scontato: la politica estera divide quasi sempre le Camere, mentre su questi temi si è riusciti a lavorare con un atteggiamento responsabile.
Il Partito democratico in particolare l’area riformista ha creato le condizioni affinché tutte le forze di opposizione non si opponessero al passaggio dei documenti. Come motiva questo orientamento?
Abbiamo sostenuto il piano americano perché rappresenta, al momento, l’unica strada concreta per arrivare a un cessate il fuoco e a un orizzonte di due popoli e due Stati. È positivo che gli Stati Uniti abbiano rimesso al centro il tema della pace e che anche i Paesi arabi moderati e l’Unione europea si stiano muovendo in quella direzione. Allo stesso tempo, ci saremmo aspettati un approfondimento maggiore sugli aspetti operativi della proposta.
Dove individua i principali limiti del piano, posto che in premessa l’ha definito lacunoso specie per il versante palestinese?
Il nodo principale riguarda, appunto, il ruolo dei palestinesi. C’è poca attenzione alla loro soggettività politica. Non sono chiari i tempi e le modalità del ritiro israeliano da Gaza, né la funzione che l’Autorità nazionale palestinese dovrà avere. Inoltre, non sono previsti reali rappresentanti palestinesi al tavolo, se non in misura minimale. Si rischia di immaginare la pacificazione della regione senza i palestinesi: sarebbe un grave errore.
Ciononostante, lei ha definito “importanti” alcune parole di Trump.
Sì, perché lo status della Cisgiordania e l’illegalità delle colonie israeliane sono temi che, se affrontati con serietà, possono costituire un punto di avanzamento nel processo di pace. È significativo che un presidente americano li abbia nominati esplicitamente per la prima volta. Ma resta il problema di fondo: serve un piano realistico che favorisca l’emergere di una leadership palestinese non estremista, capace di guidare il percorso verso lo Stato.
La manifestazione di ieri ha mostrato grande partecipazione, ma anche derive problematiche. Che giudizio ne dà?
C’è una domanda fortissima di giustizia e solidarietà umanitaria che attraversa la società italiana. Migliaia di persone hanno manifestato con questa intenzione. Poi ci sono stati slogan e cori inaccettabili, che rischiano di sporcare le ragioni autentiche della piazza. Quelle derive vanno escluse con fermezza: spero che gli organizzatori si assumano la responsabilità di prendere le distanze e chiedere scusa.
Che messaggio esce, in definitiva, dal voto parlamentare?
Che la stabilizzazione della regione è possibile solo attraverso l’unità delle forze politiche e il dialogo. Tajani ha condotto il dibattito con toni appropriati e una disponibilità al confronto che non vedevamo da mesi. È giusto che il Parlamento abbia fatto questo sforzo: la pace in Medio Oriente richiede serietà e convergenza.