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Se i conti sono in salute ci guadagnano tutti. Giorgetti spiega perché

La tenuta e il consolidamento del deficit è la pietra angolare di un’economia che può generare crescita e l’unico modo per permettere all’Italia di esprimere il suo potenziale, onorando gli impegni internazionali. Ecco perché oggi avere i conti a posto è una questione anche di sicurezza nazionale. Cosa ha detto il ministro dell’Economia all’assemblea di Assonime

C’era il pubblico delle grandi occasioni all’assemblea annuale di Assonime, l’associazione delle spa, tenutasi nella grande aula magna della Luiss, presso il campus nel quartiere Trieste. Padrone di casa, il presidente neoeletto Massimo Tononi, che succede a Patrizia Grieco, il direttore generale Stefano Firpo, unitamente al rettore dell’ateneo di Confindustria, Paolo Boccardelli. In platea, insieme a manager e imprenditori, ex ministri (Piercarlo Padoan e Franco Bassanini) anche il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, il viceministro di via XX Settembre, Maurizio Leo ma, soprattutto, il diretto responsabile del dicastero, Giancarlo Giorgetti.

Tutti e tre impegnati in questi giorni nella stesura della manovra, che il prossimo 20 ottobre approderà in Parlamento, incastonata nei saldi già fissati dal Documento programmatico di finanza pubblica, appena approvato dal governo. Ed è stato proprio Giorgetti, dopo che lo stesso Leo ha confermato, a margine dell’assise delle spa, a Formiche.net l’emersione complessiva dal sommerso di 210 mila partite Iva grazie all’edizione numero due del concordato preventivo, a puntellare l’azione del governo. Linea ribadita poi, in serata, nel corso dell’audizione davanti alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, poco prima che il Consiglio dei ministri approvasse una prima riforma del Tuf, il Testo unico per la finanza (la cosiddetta legge Draghi, scritta dall’ex premier nel 1998), ai capitoli mercato dei capitali e risparmio.

LA LINEA MELONI

L’intervento di Giorgetti, tuttavia, è stato preceduto da un messaggio di Giorgia Meloni. Partita dalla pietra angolare della prossima manovra, il fisco. “Occorre costruire un rapporto più giusto ed equilibrato tra Stato e imprese. È il motivo per il quale siamo partiti dalla stesura di una riforma organica del fisco: provvedimento che l’Italia aspettava da oltre 50 anni e che punta a ridurre la pressione fiscale e tagliare la burocrazia, oltre che a rifondare il rapporto tra Stato e contribuenti sul buon senso e la fiducia reciproca. La legge delega risponde a questa sfida e ne stiamo dando rapidamente attuazione, con un calendario serrato che ci ha portato finora a varare in via definitiva sedici decreti legislativi e cinque testi unici”, ha messo in chiaro la premier.

Questo sarà possibile grazie a un disavanzo sotto controllo e un costo del debito, in termini di interessi, decisamente ridotto rispetto agli anni scorsi. “Oggi l’Italia può godere di conti pubblici in ordine, è l’unica Nazione del G7 ad essere tornata dopo il Covid in avanzo primario, si avvia ad avere già nel 2026 un indebitamento sotto la soglia del 3% del Pil, può vantare un mercato del lavoro che ha fatto registrare numeri record e indicatori macroeconomici molto incoraggianti. L’Italia si presenta con rinnovata credibilità di fronte a un quadro economico e finanziario di grande complessità. Credibilità riconosciuta dai mercati, dagli investitori e dai risparmiatori. Lo testimoniano il ritrovato appeal dei titoli pubblici italiani, l’ottima performance della Borsa, lo spread al livello minimo degli ultimi 15 anni, il giudizio delle agenzie di rating e la ritrovata fiducia degli investitori istituzionali, la cui percezione del rischio specifico dell’Italia appare in netto miglioramento rispetto a qualche anno fa”.

IL PRIMATO DEI CONTI

Poi ha preso la parola Giorgetti, mettendo al centro del suo ragionamento un concetto: pensare alla salute dei conti pubblici è un vantaggio per tutti e non solo per il governo. Ma anche per le imprese, le famiglie. Entrando nel merito, il responsabile di Via XX Settembre ha chiarito come “il rapporto deficit/pil scenderà stabilmente sotto il livello del 3% dal 2026, forse anche dal 2025, vedremo, ricominciando, per la prima volta dopo la pandemia, a registrare avanzi primari. Questo vuol dire che dall’8,6% del 2022, in 4 anni avremo ridotto il deficit di oltre 5 punti e mezzo. Si tratta di un miglioramento che, per la sua intensità, ha un solo precedente, quello del 1997 in vista dell’ingresso nella zona euro. A differenza di allora, questo risultato è stato conseguito senza nuove imposte generalizzate ma, anzi, con un alleggerimento strutturale della pressione fiscale sui redditi medio-bassi”.

Di qui, una ulteriore precisazione. “Cosa voglio dire? Che questi dati hanno prima di tutto un valore culturale. Ad avvantaggiarsi di conti pubblici in ordine non sono i ministri, che anzi sopportano, soprattutto quelli dell’Economia, l’onere politico di dire molti no. Un peso ben maggiore del prestigio effimero di una copertina internazionale. Ad avvantaggiarsi di conti pubblici in ordine sono gli italiani, le famiglie e le imprese. Quelli di oggi, ma soprattutto gli italiani di domani. E poi, fatemelo dire con orgoglio in un Paese che spesso dimentica l’equità intergenerazionale. La mole di interessi passivi – la voce più odiosa del bilancio pubblico – che abbiamo risparmiato portando lo spread da 250 a 80 punti base è un risparmio secco in termini di debiti che non lasceremo sulle spalle delle prossime generazioni e neanche delle imprese di domani. Una diminuzione del tasso d’interesse di 100 punti base determina un risparmio di circa mezzo punto percentuale della spesa per interessi nel triennio, ovvero 10 miliardi e mezzo. Fate voi i conti”.

ANATOMIA DI UNA MANOVRA

Il ministro ha poi verticalizzato ancora il suo ragionamento. Entrando nel cuore della prossima manovra, che dovrebbe cubare circa 16 miliardi, di cui il 60% finanziati da tagli di spesa, mettendo in conto 12 miliardi di euro per la Difesa spalmati per tre anni. “La legge di bilancio continuerà il percorso di consolidamento (dei conti, ndr). L’intervento sull’Irpef rafforzerà ulteriormente la riduzione, già strutturale a partire da quest’anno, dell’onere fiscale sui redditi dal lavoro medio-bassi, con un effetto di stimolo della domanda interna. Inoltre, sul lato dell’offerta la manovra assicurerà la continuità della spesa per investimenti oltre la conclusione del Pnrr, a partire dal potenziamento degli strumenti per l’incremento della produttività”.

“Vorrei sottolineare la connessione tra gli ambiti di intervento che ho appena menzionato. Domanda e offerta, così come salari e produttività, sono aspetti legati. In 3 anni il governo ha spinto al massimo possibile il sostegno ai redditi reali che poteva arrivare dalla contrazione del peso fiscale e contributivo. Si è parlato qui di fiscal drag, ma io ricorderei anche i 38 miliardi di riduzione del cuneo. La crescita ulteriore degli stipendi passa ora per il lavoro delle parti sociali: rinnovo della contrattazione, riconoscimento di retribuzioni competitive e adeguate a frenare l’esodo generazionale, accelerazione della produttività tramite investimenti in tecnologia”.

D’altronde, per ammissione dello stesso Giorgetti, “le imprese italiane si trovano infatti a fronteggiare la sfida dell’Intelligenza Artificiale, che per l’Europa e per l’Italia riguarda soprattutto la dimensione dell’adoption. Seppure la manifattura non sia tradizionalmente un early adopter delle tecnologie, dobbiamo accompagnare le nostre imprese ad affrontare proattivamente questo processo, nel quadro della Strategia europea presentata ieri. Per farlo servono incentivi semplici, così come il lavoro della rete dei centri di ricerca pubblica e dei centri di competenza 4.0. Per questo, su un piano più generale, l’obiettivo di preservare un livello adeguato di investimenti, dopo la fine del Pnrr, passerà sempre più dalla mobilitazione dei capitali privati. Ho in più occasioni rimarcato come, per il governo, sia prioritario salvaguardare, ma soprattutto valorizzare, il risparmio privato, bene strategico del Paese, promuovendone un impiego efficace verso il sistema produttivo”.

LA ZONA FISCALE

A chiusura del suo ragionamento, Giorgetti ha affrontato il tema più delicato, che è anche pietra angolare della manovra, da sempre: il fisco. “Conoscete benissimo gli interventi adottati e avete tutte le competenze per giudicarne in autonomia la portata: la riforma dello Statuto del contribuente, il potenziamento della cooperative compliance, la semplificazione degli adempimenti tributari, il concordato preventivo biennale, la revisione del sistema sanzionatorio tributario, ma anche l’adeguamento agli standard internazionali dei criteri di determinazione della residenza fiscale.

“Quello che vorrei sottolineare è il denominatore comune degli interventi, vale a dire la promozione di strumenti per favorire il dialogo tra amministrazione finanziaria e contribuente. È un approccio, prima di tutto culturale, che si fonda sul riconoscimento del ruolo delle imprese e anche delle difficoltà di fronte alle quali le ha poste spesso la complessità dell’ordinamento tributario. Si tratta anche di un approccio moderno dell’amministrazione finanziaria, volto a sfruttare il potenziale che gli strumenti tecnologici, soprattutto in funzione predittiva, possono apportare per ridurre gli adempimenti degli operatori. Concludo mettendo in evidenza che l’ambito fiscale è uno di quelli dove è più evidente l’impatto delle profonde trasformazioni dei rapporti internazionali: nel 2025, in pochi mesi sono stati messi in discussione i progressi in tema di erosione della base imponibile”.

L’EUROPA AL TEMPO DI TRUMP

Non poteva mancare un assaggio di politica internazionale. Con un riferimento alla corsa al riarmo intrapresa dall’Europa e dai suoi Paesi membri. “La postura della presidenza americana ha messo in evidenza sia la fragilità del sistema istituzionale europeo, sia alcune convinzioni che hanno animato a lungo il consesso europeo, finendo oggi per mettere a repentaglio la sua stessa sopravvivenza. Potrei parlare del cambio di orientamento sulla difesa, per la quale ad un tabù si è magicamente sostituita una frenesia della spesa. Potrei parlare degli obiettivi ambientali, che in alcuni casi sono stati all’origine di restrizioni incomprensibili, come quelli posti all’utilizzo delle risorse europee per i settori Ets, quasi che ciò che inquina debba essere scansato dai nostri occhi, anche quando è talmente essenziale che possiamo accettare senza indugio di importarlo”.

Di qui una profonda convinzione: la sicurezza finanziaria oggi vuol dire anche sicurezza nazionale. In questo quadro, “la mia priorità quale ministro dell’Economia è stata e continuerà ad essere quella di mettere il Paese in sicurezza sul piano finanziario ed economico. Sicurezza finanziaria ed economica che sono l’altra faccia della stessa medaglia, la sicurezza nazionale. Concetto ancora non pienamente parte della nostra cultura politica ma chiaramente riscontrabile nell’attuale congiuntura internazionale. Con lo stesso pragmatismo e la stessa ambizione, continueremo a lavorare affinché l’Unione europea sappia rispondere con dinamismo e pragmatismo alle sfide di questo tempo”.


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