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Difesa Ue, il Consiglio apre ai fondi comuni

Il Consiglio Ue ha dato il via libera al nuovo pacchetto per incentivare gli investimenti legati alla difesa, aprendo i principali programmi comunitari a progetti militari e dual use. Una mossa che segna l’ingresso della difesa nel bilancio europeo e prepara il terreno per la strategia ReArm Europe e il piano Readiness 2030, con l’obiettivo di costruire una vera base industriale comune e rafforzare l’autonomia strategica dell’Unione

Da mesi, nei corridoi di Bruxelles, si avverte la sensazione che qualcosa stia cambiando. Tra discussioni su bilanci, vincoli e priorità comuni, la difesa europea inizia a trasformarsi da esercizio diplomatico a progetto economico concreto. Oggi il Consiglio ha approvato la propria posizione sul pacchetto che incentiva gli investimenti legati alla difesa nel bilancio dell’Unione, aprendo i principali programmi comunitari a progetti con ricadute militari e duali. È un tassello della strategia ReArm Europe, che punta a tradurre la prontezza al 2030 in un obiettivo misurabile, non in uno slogan.

Un bilancio più flessibile per l’industria della difesa europea

In pratica la posizione dei governi sostiene un mini omnibus che ritocca cinque regolamenti per rendere più rapido e coerente l’afflusso di risorse verso la base tecnologica e industriale della difesa europea. Nel perimetro entrano il Digital europe programme, Horizon europe, il Fondo europeo per la difesa, il Connecting europe facility e la piattaforma Step, con un’aggiunta non banale voluta dagli Stati che adatta le regole di ammissibilità di Horizon alle attività a duplice uso per allinearle agli altri strumenti del settore. Il punto politico sta nell’uso migliore di fondi esistenti, non in nuova spesa a carico del quadro finanziario, con maggiore flessibilità per cumulare finanziamenti e convogliare anche risorse di coesione su progetti difesa quando serva. La logica è premiare sinergie e interoperabilità, evitare duplicazioni, creare massa critica e corsie veloci per tecnologie di frontiera come intelligenza artificiale, cyber e droni, comprese le cosiddette AI factories. Il Consiglio manda così un segnale che incrocia industria, ricerca e mobilità militare con una regia comune.

ReArm Europe e Readiness 2030, la rotta verso la difesa economica comune

La partita ora si sposta nel negoziato con il Parlamento, con la presidenza che punta a chiudere entro fine anno, mentre sullo sfondo scorre l’architettura più ampia di ReArm Europe e Readiness 2030. Qui il target è mobilitare fino a ottocento miliardi in spesa aggiuntiva nei prossimi anni, sostenuta da tre leve che cambiano il quadro degli incentivi pubblici e privati. La prima è Safe, strumento di prestiti fino a centocinquanta miliardi per acquisti congiunti in aree critiche, pensato per far spendere meglio e insieme. La seconda è l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale che apre margini fiscali pari a un incremento fino all’uno e mezzo per cento del Pil su quattro anni. La terza è l’allargamento del perimetro della Bei e la spinta alla futura unione del risparmio e degli investimenti per attrarre capitali pazienti in filiere europee, con esclusione di armi e munizioni nell’operatività bancaria. Se queste leve incontreranno regole più semplici e una domanda coordinata, la prossima ondata di ordini potrà consolidare capacità industriali in Europa riducendo dipendenze esterne, con benefici per competitività e occupazione. La sfida è politica oltre che tecnica, perché la sicurezza resta competenza nazionale ma l’efficienza premia il coordinamento.


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