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Troppa animosità su Incoronata Boccia, gli obiettivi sono altri. Il commento di Arditti

Le reazioni alle sue parole su Israele e Gaza appaiono eccessive e viziate da pregiudizio. Invece di un dibattito sui fatti e sulla deontologia giornalistica, si è scatenata una caccia alle streghe. Ma esiste davvero una mancanza di prove concrete su mitragliamenti sistematici contro civili inermi? E, al contrario, ci sono evidenze che smentiscano la sua tesi? Roberto Arditti ha esaminato fonti autorevoli e bilanciate per rispondere

In questi giorni, il nome di Incoronata Boccia, direttrice dell’ufficio stampa Rai, è finito al centro di una bufera mediatica e politica. Le sue dichiarazioni pronunciate durante il convegno La storia stravolta e il futuro da costruire, organizzato dall’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei) e dal Cnel in occasione dell’anniversario del massacro del 7 ottobre 2023, hanno scatenato reazioni immediate e veementi. Opposizioni come Pd, M5S e Alleanza Verdi-Sinistra hanno chiesto le sue dimissioni, accusandola di negazionismo e di banalizzare i crimini commessi a Gaza. Ma analizzando i fatti con obiettività, emerge un quadro diverso: queste accuse sembrano rivelare una certa malafede, alimentata da pregiudizi ideologici e da una fretta di censurare voci dissonanti rispetto al mainstream narrativo sul conflitto israelo-palestinese.

Riportiamo innanzitutto le parole esatte di Boccia, pronunciate nel contesto di una riflessione sul ruolo del giornalismo e sulla verifica delle fonti. “Si è parlato spesso del cinismo e della spietatezza dell’esercito israeliano, eppure non esiste una sola prova che siano state sventagliate delle mitragliate contro civili inermi. Eppure questo è stato raccontato, questo è stato detto senza alcuna verifica delle fonti. Vergogna, vergogna, vergogna”. Ha aggiunto che il giornalismo si è “piegato” alla propaganda di Hamas, proponendo ironicamente un “Oscar per la miglior regia” al gruppo terroristico, e ha condannato l’uso ideologico della parola “genocidio”. Boccia ha anche condiviso un aneddoto personale: quest’estate, in un comprensorio di lusso al mare, ha visto sventolare una bandiera palestinese, interpretandolo come segnale di come il dolore sia diventato “feticcio, moda, ostentazione della parte giusta dalla quale stare”.

Queste affermazioni non sono nate dal nulla. Boccia, ex vicedirettrice del Tg1, ha una lunga carriera nel giornalismo pubblico e ha già affrontato polemiche in passato, come quando definì l’aborto “un omicidio”, citando Madre Teresa di Calcutta. Ma qui il punto è un altro: le reazioni alle sue parole su Israele e Gaza appaiono eccessive e viziate da pregiudizio. Invece di un dibattito sui fatti e sulla deontologia giornalistica, si è scatenata una caccia alle streghe. L’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, ha parlato di “negazionismo” e “banalizzazione della violenza”, mentre esponenti come Peppe De Cristofaro (Verdi) l’hanno definita “senza ritegno”. Il M5S ha invocato dimissioni immediate, accusandola di “negare il massacro a Gaza”. Fratelli d’Italia, al contrario, l’ha difesa, evidenziando come queste critiche siano motivate da un’antipatia politica piuttosto che da fatti concreti.

Ma è qui che entra in gioco la malafede: le accuse sembrano ignorare deliberatamente il contesto delle dichiarazioni di Boccia, che non nega la tragedia di Gaza ma critica il modo in cui certe narrazioni sono state diffuse senza verifica. Il convegno era dedicato proprio al fact-checking e alla disinformazione post-7 ottobre. Chiedere dimissioni per questo significa invocare una forma di censura, tipica di chi non tollera prospettive alternative in un dibattito polarizzato. È un pregiudizio che vede ogni difesa della verifica delle fonti come apologia di Israele, senza considerare che il giornalismo deve resistere alle manipolazioni da tutte le parti, inclusa la propaganda di Hamas.

Ora, cerchiamo di confermare ciò che dice Boccia: esiste davvero una mancanza di prove concrete su mitragliamenti sistematici contro civili inermi? E, al contrario, ci sono evidenze che smentiscano la sua tesi? Per rispondere, ho esaminato fonti autorevoli e bilanciate, inclusi rapporti internazionali e inchieste giornalistiche da media israeliani, palestinesi e occidentali.

Da un lato, Boccia ha ragione nel sottolineare che molte narrazioni su Gaza derivano da fonti legate a Hamas, che controlla l’informazione nella Striscia e ha una storia documentata di manipolazione mediatica. Ad esempio, indagini come quelle di Haaretz e del Guardian mettono in discussione alcune accuse specifiche, notando che in certi incidenti vicino ai siti di aiuti umanitari, le sparatorie potrebbero essere state reazioni a minacce percepite, non attacchi deliberati su inermi. L’Idf ha spesso avviato inchieste interne su questi episodi, come riportato da Bbc e Cnn, sostenendo che i tiri fossero mirati a disperdere folle per evitare caos.

Dall’altro, esistono prove che indicano il contrario, suggerendo che in alcuni casi l’Idf abbia sparato su civili disarmati. Human Rights Watch ha documentato uccisioni di palestinesi in cerca di cibo vicino ai siti di aiuti, definendole “crimini di guerra”. Al Jazeera e Haaretz riportano testimonianze di soldati israeliani che affermano di aver ricevuto ordini di sparare su folle disarmate per allontanarle dagli aiuti. Amnesty International ha evidenziato attacchi che hanno spazzato via intere famiglie, inclusi casi di sparatorie indiscriminate , e un rapporto Onu del 2024 descrive pattern di violenza contro civili, inclusi bambini. Video e inchieste, come quelle su Reddit e AP, mostrano episodi specifici, ad esempio sparatorie su convogli umanitari.

In sintesi, mentre ci sono evidenze di abusi da parte dell’Idf, spesso contestualizzate in un conflitto asimmetrico con Hamas che usa civili come scudi – molte accuse rimangono controverse e basate su fonti non sempre verificate indipendentemente. Boccia invita proprio a questo: un mea culpa del giornalismo per non aver sempre distinto fatti da propaganda. Le reazioni contro di lei, invece di stimolare un dibattito, puntano alla censura, rivelando un pregiudizio che privilegia una narrativa univoca. In un’epoca di disinformazione, difendere la verifica delle fonti non è negazionismo, ma dovere professionale. È tempo di abbassare i toni e tornare ai fatti. Se poi, come nel caso di cui parliamo, tutto è riconducibile a posizioni politiche di partenza inamovibili nella scelta della parte da sostenere, allora il dibattito non comincia nemmeno e la questione ha ben poco a che vedere con le parole di Incoronata Boccia.


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